Schumacher in Ferrari – la rincorsa inizia

di Igor Carta

Giunto in Ferrari nel 1996, Michael Schumacher pose subito le basi per tutti i successi degli anni a seguire

schumacher1

Al momento lotta su un letto circondato dalla famiglia, ma questo non è un requiem e tanto-meno una preghiera; è il mio personalissimo ricordo di quando non c’era ancora il Kaiser, ma solo Schumi. L’arrivo di Michael Schumacher alla scuderia Ferrari divenne ufficiale solo a Monza ‘95, quando il tedesco veleggiava verso il secondo titolo mondiale al volante della Benetton. Il fresco campione del mondo non godeva di una buona fama in Italia; troppo freddo, con qualche bandiera nera all’attivo ed una sfiorata rissa con l’intoccabile Ayrton Senna, in poche parole malvisto dai tifosi italiani che stravedevano invece per la coppia Jean AlesiGerhard Berger, simpatici, alla mano, buoni piloti indubbiamente, ma incapaci di condurre le Rosse verso il titolo mondiale. Schumacher è consapevole di ciò, ma sa soprattutto che contano il sodo e il soldo. La cifra d’ingaggio rimase a lungo segreta, ma come ebbe a dire tempo dopo l’avvocato Gianni Agnelli non ci è certo costato un tozzo di pane”. A ulteriore garanzia di questo vero e proprio salto nel buio vi era la certezza di essere assecondato in tutto, scelte tecniche, dei collaboratori adatti e la possibilità di gestire autonomamente i propri sponsor personali. E’ nei primi cinque anni in Ferrari che Michael dimostrò realmente di quale dura ottima pasta siano fatti i fuoriclasse, prendendo per mano una squadra allo sbando, vittima illustre dello sciagurato management FIAT, conseguendo vittorie memorabili che solo i veri amatori degli sport motoristici ricordano. Ma oltre questo, Schumacher fu l’uomo dell’innovazione, perché fondò il metodo di lavoro in F1 che è ancora oggi il modello seguito dai campioni odierni.

Finché fu l’era degli Alain Prost, degli Ayrton Senna e dei Nigel Mansell vi era solo il connubio uomo-macchina; il primo era “il professore”, e da allievo di Niki Lauda non poteva essere altrimenti; Senna era “il talento”, Mansell era “un pazzo” autore del più bel sorpasso della storia, Hungaroring ‘89, proprio a danno del noto pilota paulista. Michael fu invece un campione completo, un vero uomo squadra, il primo a capire l’importanza del team, dal direttore tecnico all’ultimo dei meccanici; qualcuno ricorda i campioni sopracitati “coccolare” i loro tecnici in diretta TV ? Al suo arrivo in Ferrari impose subito, da vero leader, gli uomini che riteneva indispensabili per ridare lustro ad una scuderia che al massimo vantava una vittoria stagionale, qualche podio e poco più. Nel 1996 venne affidata alle sue mani e a quelle del compagno Eddie Irvine la F310, prima vettura di Maranello con il motore 10 cilindri, una vettura lenta, che si rompeva addirittura durante il giro di ricognizione. Irvine navigava nelle retrovie con una vettura che fungeva più da “laboratorio” per la stagione successiva, mentre Michael, quando può, deve tirar su il morale alla squadra e ai tifosi. Sciupa la prima occasione a Montecarlo con un banale errore sul bagnato, e giù fischi. Ma la gara successiva nel circuito di Barcellona, trasformato in un acquitrino da una pioggia torrenziale fa capire a tutti, specie agli scettici italiani, che quel numero “uno” sulla carrozzeria non è lì per caso. Parte male, poi infila in rapida successione Jacques Villeneuve e Jean Alesi, passa al comando e vince con quasi un minuto sul secondo arrivato, un’impresa degna di quella, ben più celebrata però, di Senna a Donington ‘93. La stagione prosegue ad alterne vicende, Schumacher ottiene quattro pole position, ma numerosi ritiri per la scarsa affidabilità della vettura. Ottiene altre due vittorie, a Spa Francorshamps, pista belga in cui il tedesco vanta il record di vittorie tutt’ora imbattuto, e la terza, la più significativa, a Monza, per il delirio dei ferraristi. Il mondiale per quell’anno fu appannaggio delle imbattibili Williams Renault, lotta che si risolse solo all’ultima gara in Giappone dove l’esperto Damon Hill ebbe la meglio sul debuttante Jacques Villeneuve. Per l’inglese era l’occasione della vita, avendo già perso due volte il titolo contro il tedesco, pur avendo una vettura uscita dalla matita di Adrian Newey, padre in seguito delle McLaren Mercedes e delle Red Bull. La stagione si chiuse con grande soddisfazione in casa Ferrari, tre vittorie, quattro pole position, due giri più veloci e la consapevolezza di aver finalmente imboccato la strada per battersi contro i migliori. Durante la pausa invernale Schumacher fece giungere a Maranello il nuovo progettista, il sudafricano Rory Byrne, che firmò le Benetton vincenti del 1994 e 1995. Tutto pronto per la stagione 1997.

© Riproduzione Riservata

RelatedPost

Commenti

commenti

Precedente Davide La Rosa - Tutti Charlie col Dio degli Altri Successivo Ipazia - La Prima Scienziata