Adolf Hitler – la fuga in UBoot

di Igor Carta

Ciclicamente, da ormai 70 anni, emergono voci o prove documentali sulla presunta fuga di Adolf Hitler in Sudamerica

Adolf Hitler und Eva Braun auf dem Berghof

E’ una storia vecchia che ogni tanto salta fuori, quella secondo cui Hitler non si sarebbe suicidato nel bunker della Cancelleria a Berlino. Tempo fa vennero alla luce dei documenti in cui emergerebbe che l’allora direttore dell’FBI, John Edgar Hoover diede per diverso tempo credito all’ipotesi che, a sentire un misterioso informatore, il Führer sarebbe giunto in Sudamerica circa venti giorni dopo la capitolazione del Reich, con due donne e diversi altri tedeschi. Dopo un periodo passato a nascondersi ai piedi delle Ande, Adolf Hitler avrebbe vissuto in un villaggio del Mato Grosso in cui sarebbe rimasto fino alla veneranda età di 95 anni. Passi che comunque un documento possa risultare falso, sono noti tutta una serie di elementi che fanno a pugni inevitabilmente con questa possibilità. Le testimonianze degli altri occupanti del Führerbunker, dalla segretaria Traudl Junge, sul cui racconto fu basato il film “La Caduta”, a quella di Rochus Misch, guardia del corpo di Hitler, fino all’aiutante Otto Günsche, sono chiare e combacianti; Hitler ed Eva Braun si suicidarono, i loro corpi vennero bruciati e sepolti nel cortile esterno al bunker; a conferma di ciò vi fu poi il ritrovamento dei resti del dittatore e della moglie, documentata da fonti sovietiche. Viene spontaneo chiedersi poi come mai, invece di accompagnare nella fuga il leader, i suoi più fanatici seguaci, Joseph Goebbels e consorte nonché il segretario Martin Bormann, rimasero a Berlino a morire. I primi seguirono l’esempio di Hitler e della Braun, il secondo abbandonò il bunker dopo il suicidio di Goebbels, successore designato da Hitler al Cancellierato, ma avrebbe trovato la morte durante la fuga tra le strade della capitale.

 

Va segnalato inoltre, che anche di Bormann qualcuno fantasticò della fuga in Sudamerica, teoria smontata dal ritrovamento a Berlino, durante dei lavori edili, di resti ossei il cui esame ha decretato l’appartenenza al segretario del Führer. Per controparte va detto, comunque, che numerosi personaggi del regime nazista riuscirono nel loro intento di scappare, come Josef Mengele, il medico di Auschwitz e Adolf Eichmann, il contabile della soluzione finale poi arrestato ed estradato in Israele dal Mossad. Anche Erich Priebke, nome piuttosto noto specie in Italia, dopo la guerra si rifugiò in Argentina. Da rilevare inoltre che i massimi esperti sul caso dei sommergibili tedeschi scomparsi, i giornalisti Juan Salinas e Carlos DeNapoli, per anni hanno indagato e indagano ancora, non millantano di certo la fuga di Hitler in U-boot, ma hanno fatto notare che la loro richiesta di apertura degli archivi di Buenos Aires sul caso abbia ricevuto l’opposizione “per segreto di stato”. Facile sospettare dunque che vi sia sotto qualcosa. L’unico che forse è veramente riuscito a farla franca, indisturbato, è Alois Brunner, braccio destro di Eichmann e comandante del campo di concentramento di Drancy, in Francia. Comunque tali argomentazioni, bollate come eccessi di fantasia degni solo di spy-story scritte male, hanno comunque dei riscontri oggettivi che possiedono una rilevanza di gran rispetto. La leggenda vuole che Hitler e la fresca consorte si fossero rifugiati in Argentina dopo aver navigato per giorni e giorni a bordo di battelli della Kriegsmarine, i famigerati U-Boot.

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In seguito alla resa di Berlino l’allora capo di Stato provvisorio tedesco, l’ammiraglio Karl Dönitz, ordinò il cessate il fuoco immediato a tutte le forze germaniche; l’ordine riguardante la Marina arrivò solo nel luglio 1945, precisamente il 10. Quello stesso giorno emerse davanti al porto argentino di Mar de la Plata il sommergibile tedesco U-530. Il suo comandante, Otto Wermuth, consegnò il battello alle autorità privo di documentazione, di armamento e con l’equipaggio in salute, nonostante fosse salpato dalla Norvegia il 2 maggio. Lo avrebbe accompagnato in quella missione, secondo alcuni “segreta”, l’U-977, che invece si consegnò solo il 17 agosto 1945, dopo una navigazione non priva di intoppi. Immancabilmente le due unità vennero subito indicate come quelle che trasportarono al sicuro, in località segrete sudamericane o addirittura antartiche, il capo del Reich unitamente a scienziati e materiali di ricerca d’altissimo pregio. Bene, iniziamo col specificare che gli U-Boot in questione erano sommergibili, ovvero battelli studiati per la navigazione in superficie e che, all’occorrenza e solo per brevi tratti, potevano immergersi. La propulsione era mista, diesel per l’attività di superficie, elettrica per quella sottomarina. La vita a bordo era davvero dura, forse peggiore di quella delle ciurme degli antichi galeoni. Ambienti stretti, aria viziata, turni per mangiare e per dormire nonché igiene personale pressoché inesistente. Complicato per chiunque adattarsi ad una vita simile, figurarsi per dei personaggi che fino a pochi mesi prima si muovevano tra servi e salotti buoni.

Risulta strano altresì che dopo una navigazione così lunga e difficile, una volta scaricati al sicuro “i pezzi grossi” gli equipaggi si siano consegnati senza batter ciglio alle autorità argentine che li internarono e misero a disposizione degli Alleati, da cui vennero sottoposti a numerosi e stringenti interrogatori. Come già segnalato in passato, va ammesso altresì che tutte le teorie “alternative” hanno qualcosa su cui basarsi. I già citati giornalisti Juan Salinas e Carlos DeNapoli, autori di ricerche e libri sugli UBoot tedeschi affondati, hanno più volte dichiarato di lavorare senza ricevere il benché minimo supporto da parte degli enti chiamati in causa. Passi che la Kriegsmarine non possieda notizie certe sui suoi battelli dispersi in mare, ma arrivare al punto che le autorità argentine oppongano il segreto di stato sulla vicenda, porta inevitabilmente al sorgere di sospetti. Naturale domandarsi cosa ci sia ancora da tenere nascosto. I due cronisti tra l’altro giurano di aver anche individuato un possibile punto d’approdo, la baia di San Mathias, in Argentina. Tale località sarebbe indicata in una mappa dei relitti nel museo degli UBoot di Kiel, ma anche diversi piloti sorvolando la zona dichiararono di aver intravisto sagome sospette. Anche Jacques Cousteau avrebbe tentato negli anni ’70 di venire a capo dell’enigma. Le inchieste dei due giornalisti portarono nel 1996 l’allora presidente Carlos Meném a creare una commissione di studio che incaricò unità della Marina di effettuare verifiche in quel tratto di costa, dove sarebbero state rilevate anomalie magnetiche. Salinas e DeNapoli non ebbero dubbi, in quei fondali, ormai sepolti, giacciono ancora uno o più relitti, ma la Marina replicò che non venne rinvenuto nulla. L’opposizione del segreto di stato vige tutt’ora anche sulle coordinate esatte dell’area in questione.

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