Patti Smith – Sacerdotessa del Rock

di Mariarosa Signorini.

Altra sacerdotessa del rock: Patti Patricia Lee Smith è nata a Chicago il 30 dicembre 1946.

patti smith

Cresciuta a Pitman (New Jersey), da bambina voleva diventare una cantante d’opera e racconta: “Piangevo ascoltando Maria Callas e volevo diventare come lei. Ma ero troppo magra..” Approdò a New York nel 1967. Ragazza madre, scriveva poesie e viveva con cinque dollari al giorno, dormendo in metropolitana o sulle scale esterne degli edifici. Per anni si barcamenò facendo la commessa in un negozio di libri, la critica di una rivista musicale e la drammaturga. Racconta Patti: “New York mi affascina. Con me è sempre stata amichevole. Ho dormito nei parchi, nelle strade, e nessuno mi ha mai fatto del male. Vivere lì è come stare in una grande comunità” Successivamente riuscì ad entrare nel giro dell’intellighenzia newyorkese e a frequentare, fra gli altri, Andy Warhol, Lou Reed e Bob Dylan.

La sua prima apparizione newyorkese in pubblico è del 1969 (nei panni di un uomo) nella commedia “Femme fatale”. Successivamente scrive testi per i Blue Oyster Cult, del suo compagno Allen Lanier e compone le musiche per le proprie recitazioni libere, che diventano presto una tradizione di New York. Spopola però nei templi underground newyorkesi, come Cbgb’s e Other End, insieme, fra gli altri, ai Talking Heads e ai Blondie. Con il suo primo singolo, “Hey Joe/ Piss factory”, nasce la new wave americana.

Agli albori del punk arriva il suo primo album “Horses”, con cui il rock viene ad assumere un nuovo linguaggio musicale: commistione tra recitazione “free form” e musica, in cui il testo diventa il punto di partenza, ma mai un limite, veicolo che permette ai brani di espandersi e dilatarsi costantemente.

Il vero maestro di Patti è però Arthur Rimbaud, “il primo poeta punk”, al quale lei dedica il suo secondo album, “Radio Ethiopia”. Se Horses è il suo disco più ruvido e dirompente, Radio Ethiopia è forse quello che amalgama le sue due anime, quella “punk”, feroce e straziata, e quella più cupa e “solenne”, che trova espressione in ballate d’intensità quasi liturgica. Due anime che spesso coesistono anche all’interno di uno stesso brano.

La ballata “Because The Night”, scritta con Bruce Springsteen, è il singolo-trainante di “Easter” suo terzo album. Nonostante Patti l’abbia in seguito quasi rinnegata, definendola commerciale (secondo i maligni fece ciò, poiché veniva identificata come solo di Sprigsteen), è una canzone bellissima, che unisce vena melodica al fervore rock.

Patti è unica: i suoi ululati da belva in gabbia, i suoi acuti, i suoi lamenti da moribonda hanno affondato la tradizione del “bel canto”, aprendo la strada alla nuova interpretazione “punk”. Lei è una sciamana selvaggia che riesce a elevare le parole oltre il linguaggio, grazie al potere visionario della musica.

Lei è tutto e il contrario di tutto: ha dichiarato che i migliori performer di tutti i tempi siano Mick Jagger, Cristo e Hitler, per la loro capacità di trascinare le masse. Ha cercato conforto nel Cristianesimo post-Concilio Vaticano II (Papa Luciani, il suo preferito, appariva addirittura all’interno di Wave) e nel Buddhismo. Ha predicato il rock come “forma di comunicazione delle anime”.

Della sua vita privata: Patti ha una relazione con Tom Verlaine dei Television, del quale si invaghisce follemente (il rapporto “a tre” con Lanier, suo compagno di allora, e Verlaine sarà descritto nel 1979 nel brano “We Three”). Successivamente il dolore per la perdita del marito Fred “Sonic” Smith e del miglior amico, il fotografo Robert Mapplethorpe la dilaniano.

Patti: metà di una oscura sacerdotessa e di una pasionaria politica.

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