Bufala – l’Iraq e le incubatrici

di Igor Carta

La bufala dei neonati uccisi dai soldati dell’Iraq durante l’occupazione del Kuwait, fu fondamentale per far scoppiare le ostilità

Iraq

Solo per termini temporali non può essere definita la madre di tutte le bufale, parafrasando il discorso tenuto da Saddam Hussein alla vigilia della prima Guerra del Golfo. Proprio 25 anni fa, in questo periodo l’esercito dell’Iraq, ritenuto all’epoca uno dei più potenti e meglio armati del mondo invase e prese possesso del piccolo emirato del Kuwait, episodio che scatenò un conflitto, Iraq-resto del mondo, avviato con la benedizione dell’ONU, condotto e concluso vittoriosamente in poco più di un mese, una guerra “giusta”, di liberazione secondo i benpensanti, niente a che vedere con i conflitti scatenati in seguito dai soliti guerrafondai a stelle e strisce per accaparrarsi riserve petrolifere ed accontentare le lobby delle armi. Quel conflitto segnò l’inizio di una nuova era sia della dottrina militare che nel rapporto tra media e guerra, gli USA impararono molto dalla guerra del Vietnam, in primis la delicatezza del proprio fronte interno. Se ci fu un particolare che caratterizzò quel conflitto, o meglio ciò che arrivava a noi occidentali tramite giornali e televisione fu quella curiosa campagna stampa che raccontava molto, troppo, ma non faceva vedere nulla che non fossero i “fuochi d’artificio” su Baghdad ripresi con gli obiettivi all’infrarosso, ma la parte più subdola, quella della propaganda, era già stata giocata nei mesi che passarono tra l’ingresso dell’esercito iracheno a Kuwait City e l’inizio delle ostilità il 17 gennaio 1991.

 

 

 

Così come avvenuto durante la prima guerra mondiale, con la bufala dei soldati tedeschi che per ordine diretto del Kaiser mozzavano le mani ai bambini belgi, qualche analista non troppo in gamba ne uscì con una storia strappalacrime che fece il suo sporco lavoro e che, come sempre accade, venne sbugiardata quando i giochi erano già fatti; doverosa premessa, sembra superfluo ricordare che quello di Saddam Hussein era un regime orribile e sanguinario che in quanto ad atrocità aveva poco da invidiare a chiunque, quindi che bisogno c’era di inventare qualcosa di sana pianta? Chi lo sa, quello dell’informazione è un mondo strano, con delle regole non scritte che a volte trascendono dalla comune logica, comunque il clou si ebbe il 10 ottobre 1990, quando a Capitol Hill, durante una assemblea sui diritti umani venne data la parola ad una ragazzina kuwaitiana di 15 anni, tal Nayirah, che si presentò senza cognome per evitare guai alla propria famiglia rimasta in patria, e denunciò le atrocità commesse dall’esercito iracheno, in specie, tra lacrime e voce rotta dal pianto, di bambini tolti dalle incubatrici e lasciati morire di freddo e stenti sul pavimento. Fu testimone di ciò in quanto volontaria presso l’ospedale di al-Addan, e che tali episodi riguardarono “centinaia” di neonati. Solo a guerra finita emerse che si trattò di una colossale montatura, la ragazza era la figlia dell’ambasciatore del Kuwait a Washington, istruita alla perfezione dalla Hill & Knowlton, una delle più grandi agenzie di pubbliche relazioni del mondo, assoldata dal governo kuwaitiano in esilio per promuovere la risposta militare contro l’Iraq. Numerosi analisti concordarono che tale episodio contribuì come nessun altro all’avvio di Desert Storm, ci credettero tutti, compresa Amnesty International che, a guerra finita, indagò sulla vicenda direttamente a Kuwait City senza trovare alcun riscontro alla storia di Naryiah, che non era ovviamente infermiera e che l’ospedale al- Addan forse l’avrà visto dalla strada. Una bufala in piena regola, senza se e senza ma, restano da chiarire le ragioni sul perché Saddam abbia invaso il Kuwait e soprattutto perché non abbia ritirato le truppe d’occupazione in seguito all’ultimatum che sancì la distruzione dell’intero Iraq.

 

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