Violenza giovanile, tutta colpa dei videogame? #riparliamone

Inauguriamo anche qui la rubrica “riparliamone” in occasione di un flame scoppiato su YouTube, la cui “violenza verbale” è effettivamente ispirata dai videogiochi violenti. Da una parte dellimellow (esperto di marketing), che si scaglia contro questo genere di prodotti; dall’altra Rampage In The Box (cronista di eventi sportivi riguardanti i videogiochi), il quale risponde piccatamente al primo sostenendo gli aspetti positivi della video-ludica. Ed effettivamente esistono davvero studi che suggeriscono un aumento delle capacità cerebrali, soprattutto dal punto di vista strategico. Tuttavia questo può benissimo valere in tutti i giochi che implicano lo stimolo di tali facoltà, pensiamo ad esempio agli Scacchi. Inoltre gli studi non riguardano prettamente i giochi violenti.

Videogiochi o mercato delle armi?

Altrettanti limiti sussistono negli studi che vorrebbero correlare – suggerendo un rapporto di causa-effetto – i videogame violenti coi crimini nei giovani adulti e nei minorenni. Tutto parte da un altro dibattito che riguarda il controllo del mercato delle armi negli Stati Uniti. Il senatore Alexander (già segretario all’istruzione durante l’amministrazione repubblicana di George Bush senior), ha tentato infatti di spostare l’attenzione da una politica di contenimento della libertà di possedere armi all’effetto negativo che avrebbero i videogiochi sui giovani.

“Penso che i videogiochi siano un problema più grande delle armi, perché i videogiochi influenzano le persone. Preoccuparsi per le armi da fuoco è una follia, dobbiamo concentrarci sui videogiochi. Quelli sì che influenzano le persone”.

Le lobby delle armi contro i videogiochi. I repubblicani da sempre si sono schierati in difesa dell’emendamento alla costituzione americana che riconosce il diritto di armarsi, spostando il focus su altri fattori, in perfetta antitesi rispetto ai democratici, più propensi a rivedere la politica delle armi a seguito delle stragi che negli Usa sono state commesse da ragazzi molto giovani. Ad accusare i videogame ci si mette anche la Nra (National rifle association), una delle più potenti lobby americane delle armi.

“Guns should not be the focus of public attention following the massacre of children at an elementary school in Connecticut, the top lobbyist for the National Rifle Association said Friday. The real problem, said Wayne LaPierre, the CEO and executive vice president of the organization, is the cultural glorification of gun violence, especially in video games”.

Giovani stragisti e videogame violenti. L’argomento di fondo da cui parte anche dellimellow è che i giovani killer – come quelli della Columbine – giocavano spesso a videogame violenti. Quindi il nesso tra questi e gli atti terroristici; la sua fonte principale è una collana di libri militari di Dave Grossman, “On combat”. Gli americani chiamarono in causa uno studio capitanato da Klaus Mathiak condotto alla Michigan State University, risalente al 2005. Secondo questo studio i videogiochi violenti porterebbero ad un modello di attività cerebrale, il quale sarebbe caratteristico dei pensieri aggressivi. I ricercatori si sono avvalsi della risonanza magnetica funzionale (fMRI), ma riguarda tredici partecipanti maschi. Inoltre non si tiene conto del fatto che tanti altri fattori possono correlarsi alle esplosioni di violenza estrema nei giovani: predisposizioni genetiche, condizione sociale, difficoltà di integrazione in un ambiente scolastico avverso, eccetera. Anche dal punto di vista statistico, prendere l’aumento della violenza giovanile da un lato e l’incremento delle vendite ai giovani di videogame violenti – correlandoli assieme – nasconde un bias di conferma gigantesco; specialmente se teniamo conto degli interessi politici ed economici che spingono ad allontanare l’attenzione in America dalla questione delle armi. Lo studio in sé non pretende di dimostrare un nesso causa-effetto. Fin dall’introduzione gli autori ammettono che le meta-analisi fino ad allora pubblicate, non evidenziano connessioni significative tra videogame violenti ed incremento della violenza nei giovani.

This study aims to advance the media effects debate concerning violent video games. Meta-analytic reviews reveal a small but noticeable association between playing vio- lent video games and aggressive reactions. However, evidence for causal associa- tions is still rare. In a novel, event-related functional magnetic resonance imaging study, 13 male research participants were observed playing a latest-generation vio- lent video game.

Lo studio svedese che assolve i videogiochi

A dieci anni di distanza dallo studio dell’Università del Michigan e un anno prima del dibattito animato dal senatore Alexander, venne condotta in Svezia una ricerca molto più meticolosa. Lo Swedish Media Council, agenzia governativa svedese incaricata di monitorare l’influsso dei media sul pubblico, ha condotto una revisione di 106 studi scientifici sul tema, dal 2000 al 2011. L’agenzia ha fatto le pulci ai metodi utilizzati in queste ricerche, misurandone la valenza scientifica. E’ emerso così che non vi sono legami tra videogame e violenza. Si fa notare anche in che modo nel senso comune si sia sviluppato un sentore opposto: la predisposizione all’aggressività dovuta a cause sociali e psicologiche, porta a preferire i videogiochi violenti, ma questo non significa che i videogame provochino tali predisposizioni. E’ certamente più probabile che un giovane spacciatore o killer preferisca Gta V a The Sims 4; questo non significa che chiunque faccia uso di videogame violenti venga condizionato a diventare un criminale. Dal punto di vista scientifico non è dimostrato.

Videogiochi in prima persona e massa cerebrale. Recentemente è stato pubblicato su Nature uno studio che suggerisce un collegamento tra diminuzione della massa cerebrale attorno all’ippocampo e l’esposizione prolungata e videogame in prima persona (soprattutto quelli violenti), deducendo conseguenze negative nelle capacità di orientamento. Tuttavia sono stati sollevati dagli esperti diversi dubbi, sia nel metodo utilizzato, sia nella rilevanza dei risultati. Anche in questo caso gli autori della ricerca non pretendono di essere giunti a risultati conclusivi.

Anche gli studi psicologici più recenti non trovano correlazioni. Lo studio più recente, segnalatomi sul gruppo Facebook La gastrite di Shy, risale al marzo 2017 e stabilisce ancora una volta l’assenza di collegamenti tra giochi violenti e comportamenti antisociali. E’ stato condotto mediante la collaborazione di diversi istituti e pubblicato su Frontiers in Psychology.

Chi di statistica ferisce di statistica perisce

Facevamo notare prima quando fosse inopportuno stabilire correlazioni tra statistiche diverse adducendo che rappresentino un rapporto di causa-effetto. Da questo punto di vista è interessante uno studio condotto nel 2014 dalle università di Villanova e Rutgers negli Stati Uniti, Violent Video Games and Real-World Violence: Rhetoric Versus Data, pubblicato su Psychology of Popular Media Culture. Facciamo notare che tale ricerca è stata sottoposta a peer-review da parte della American Psychological Association. I risultati sono stati analizzati anche in un interessante articolo de Linkiesta.

Basata su quattro analisi comparative effettuate negli Stati Uniti: “i cambiamenti nelle vendite di videogiochi violenti e nel numero di crimini violenti dal 1978 al 2011, i cambiamenti mensili nelle vendite di videogiochi violenti e crimini violenti dal 2007 al 2011, il volume di ricerche online per guide e soluzioni per i giochi violenti e il numero di crimini violenti dal 2004 al 2011, i crimini violenti in seguito alla pubblicazione di tre videogiochi violenti molto popolari: Grand Theft Auto: San Andreas, Grand Theft Auto IV e Call of Duty: Black Ops”; stabilisce che la correlazione coi crimini violenti non è rilevante, tant’è vero che dalle statistiche risulta una diminuzione dei crimini qualche mese dopo l’uscita nei negozi dei videogame incriminati. Così se dobbiamo credere alle correlazioni statistiche dovremmo concludere che i videogiochi violenti ispirano redenzione nei giovani criminali (Sic!).

Codice Pegi e responsabilità dei genitori

Non solo i videogame, anche certe serie televisive sono finite nel banco degli imputati, è quanto è successo alla serie Tv Gomorra. Anche in questo caso tante polemiche ma poca sostanza. Più indietro nel tempo negli Stati Uniti vennero attaccate le principali case editrici dei fumetti sui supereroi, alla fine dovettero dotarsi di un proprio codice con tanto di bollino per informare i genitori degli eventuali contenuti violenti o diseducativi. Lo racconta molto bene James Kakalios in un testo ch’è già un classico nel suo genere: “La Fisica dei supereroi”, edito in Italia da Einaudi. Ieri come oggi di rivedere le regole sulla circolazione delle armi (in America), e incentivare le istituzioni – in primis la scuola – a tenere lontani i ragazzi da condizioni che potrebbero portarli a delinquere, non se ne parla. Per quanto riguarda i videogame è stato istituito il codice Pegi (Pan european game information). Su tutte le copertine dei videogiochi compare un bollino che indica l’eta consigliata. Ma i genitori lo sanno? Se è vero infatti che non è dimostrato un collegamento causale tra videogame violenti e criminalità nei giovani, è altrettanto vero che spesso e volentieri i ragazzi vengono sopravvalutati nella loro capacità di metabolizzare certi contenuti, anche in Rete. Tutto questo non può essere considerato salutare, anche se non dovesse portare per forza a commettere stragi in una scuola.

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