Vince Netanyahu ma cresce l’Opposizione

di Andrìa Pili.

Contro ogni previsione, il Likud di Benjamin Netanyahu si è affermato – con il 23% – come partito di maggioranza relativa nella Knesset conquistando 29 seggi – che potrebbero diventare 30, si è ancora in attesa del lo scrutinio delle urne dei soldati.

NetanyahuSupera così nettamente i principali avversari dell’Unione Sionista di Isaac Herzog e Tzipi Livni, dati per vincenti negli ultimi sondaggi, che sono invece giunti secondi con il 19% e 24 seggi. Il già capo del governo sionista si è rivelato catalizzatore di un grande consenso reazionario – riuscendo a strappare consensi al partito dei coloni in Cisgiordania, Casa Ebraica di Naftali Bennett, ed al movimento confessionale Shas, i quali hanno perso consensi rispetto al 2013 – premendo sul tema della sicurezza di Israele, addirittura fantasticando su una cospirazione ai suoi danni ordita dalla “Sinistra” e appoggiata dai voti arabi oltre che promettendo di proseguire nella costruzione di insediamenti ebraici a Gerusalemme Est e di avversare l’ipotesi di uno Stato arabo palestinese.

L’altra grande sorpresa di queste elezioni, forse più sorprendente, è il risultato della Lista Unita Araba, capeggiata dal segretario dell’Hadash (il Partito Comunista di Israele), il quale si è affermato come terza formazione parlamentare, con l’11% dei consensi ed eleggendo 14 deputati. Questa formazione ha rappresentato l’unica alternativa antisistemica in queste elezioni, sia per i cittadini arabi che per i sinceri progressisti ebrei; il suo programma ha puntato molto sulla fine della discriminazione della popolazione araba – vista come una occasione di sviluppo sociale e democratico per tutta la società, quindi anche per la maggioranza ebraica – ed il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, oltre che sul sostegno all’occupazione femminile ed il miglioramento della situazione nelle comunità arabe. Hamas aveva invitato gli arabi israeliani a votare per tale lista, sebbene questa – per ovvie ragioni – neghi di avere rapporti con il movimento islamista della Striscia di Gaza. I partiti membri di questo raggruppamento (Hadash, Balad, Movimento Islamico e Taal) – i quali si sono messi insieme al fine di superare la soglia di sbarramento del 3.25% – sono divisi sulla soluzione del conflitto israelo-palestinese: c’è chi – come l’Hadash – sostiene la creazione di due Stati ma altri vorrebbero un unico Stato palestinese.

israeli-elections-2015Il fine unico è stato chiaro: dimostrare a tutti l’esistenza di una comunità araba, aprire una breccia nello Stato sionista tramite la sua parvenza democratica. Proprio a causa del suo programma radicale il suo risultato è molto rilevante; i neodeputati ed i propri partiti potrebbero svolgere un ruolo importante per condizionare la politica palestinese quanto quella sionista, infondendo alla popolazione araba di Israele la determinazione per lottare contro l’esclusione sociale.

Possiamo, infine, provare a dare una lettura a caldo del risultato elettorale e delle sue conseguenze future. Ha vinto chi vuole portare l’essenza dello Stato sionista (il militarismo, il razzismo, l’imperialismo) fino alle sue estreme conseguenze. L’ipotesi certa di un nuovo governo Netanyahu, in coabitazione con movimenti dell’estrema destra nazionalista e religiosa, metterà Israele in una condizione internazionale non facile: tralasciando l’ovvio scontento di Hamas e dell’Iran, l’esplicito rifiuto di Bibi alla soluzione dei due Stati lo porta in diretto conflitto con il governo di Ramallah e creerà delle frizioni con gli Stati Uniti – già evidenti dopo l’imbarazzo creato a Obama dal discorso del leader sionista a Washington – e l’Unione Europea. Tutti i sostenitori della causa palestinese, inoltre, sono chiamati alla reattività, a sfruttare queste probabili tensioni al fine di premere sui propri governi perché attuino una politica incisiva contro i crimini sionisti.

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