V for Vendetta – cult di Alan Moore

di Igor Carta

Dal fumetto di Alan Moore, V for Vendetta giunse sul grande schermo nel 2005, interpretato da Hugo Weaving

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Non è un film per l’italiano medio, infatti non vanta grandi numeri come gli ormai famigerati cinepanettoni (volutamente idioti perché destinati a tali), ma fin dalla sua uscita era destinato a divenire una pellicola di culto, specie per gli anarchici. Già gli anarchici, coloro a cui in genere si dà la colpa di eventi delittuosi tanto efferati quanto torbidi (Bologna, Ustica, Piazza Fontana), pericolosi nemici dello Stato da far marcire in carcere. Cosa c’è da guadagnare a mettere una bomba in una stazione ferroviaria in ora di punta? Ora ci arriviamo. Nemici dello Stato nel senso di nemico della sua classe dirigente, uomini pericolosi non perché intolleranti alle regole, ma a chi le scrive senza avere la minima perizia nel farlo, pericolosi perché amanti della verità e desiderosi di divulgarla, pericolosi perché capaci di guidare i meno fortunati (leggasi gli ignoranti) fuori dalle caverne. La storia è ambientata in una Londra postbellica inquadrata da un regime semitotalitario che controlla i media, istituisce il coprifuoco, interna le minoranze in campi di concentramento dove sono usate come cavie. Da un incendio di uno di questi campi ne esce V, interpretato da Hugo Weaving, un uomo dotato di un’istruzione e di doti fisiche fuori dal comune. Lo scopo del personaggio uscito dalla matita di Alan Moore è semplice, vendicarsi, uccidere i suoi vessatori, rovesciare il regime che sull’onda della paura ha lobotomizzato la popolazione e restituirle la libertà, un nuovo ordine sociale. La sceneggiatura e il tocco dei fratelli Andy e Larry Wachowski rendono il film scorrevole e avvincente, le movenze di V ricordano molto da vicino quelle del Neo di Matrix, ma con una intelligenza e una istruzione degna di Oscar Wilde.

Il potere dei media è ben evidenziato con la perpetua immagine del cancelliere Adam Sutler nei megaschermi di Trafalgar Square, i suoi editti a reti unificate, il suo ritratto nelle case, come quelli di Saddam nelle case irachene. Gli editoriali del capo della televisione, appecorinato ai voleri del padrone come tanti volti noti, ma che inveisce contro islamici e omosessuali, rei di essere i peggiori nemici dello stato, i continui richiami a Dio e a Cristo come alla vigilia di una crociata per garantirsi l’appoggio del clero. Il paradosso di forze dell’ordine con pochi validi elementi circondati e mobbizzati da colleghi e superiori collusi col potere. Tutte istituzioni che in passato hanno fondato il loro potere sull’ignoranza delle masse, che hanno sistematicamente eliminato chiunque la pensasse diversamente, si sono servite di esse coalizzandole e aizzandole contro le minoranze per non parlare dei problemi veri, corruzione e marciume al servizio delle loro voraci tasche. Alla fine V compirà la sua vendetta, ucciderà chi aveva preventivato e libererà il popolo dal regime facendo esplodere il Parlamento, come tentò senza riuscirvi l’anarchico secentesco Guy Fawkes, al cui volto si ispira l’ormai celebre maschera di V.

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Salterà in aria perché simbolo dell’illusione del potere del popolo, un inutile e costoso feticcio. Nella tripartizione della natura umana coniata dal grande Leonardo Sciascia, V si pone nel piccolo olimpo degli eletti, gli uomini, coloro capaci di pensare autonomamente; i potenti nel girone degli omuncoli, grandi sfruttatori dell’ignoranza dei quaquaraquà, la massa lobotomizzata dalla televisione. In passato ci sono stati i Martin Lutero, i Robespierre, i Gandhi, San Suu Kyi sta ancora lottando contro il regime militare del Myanmar. Quanti potenziali V ci sono ancora in circolazione? Perché non fanno nulla? La risposta sta nella domanda al contrario, perché dovrebbero farlo? Per poi, in caso di successo vedere orde di rivoluzionari dell’ultima ora saltare sul carro del vincitore? Per poi finire i propri giorni vessato come un criminale in caso di sconfitta?

Riposa in pace V, il tuo era solo un bel film!

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