Tyrrell – F1 allo stato puro

di Igor Carta

Vi fu un’epoca in cui la F1 era roba per appassionati veri, grasso e bulloni, e in cui Ken Tyrrell fece scuola

Stewart e Cevert a Montecarlo
Stewart e Cevert a Montecarlo

La scuderia più vincente del momento, quella Mercedes AMG che oggi fa scintille con Nico Rosberg e Lewis Hamilton ha una storia ben più antica di quanto si pensi. A chi oggi rivede le eroiche gesta delle frecce d’argento di Juan Manuel Fangio e Stirling Moss sfugge un particolare. Passando dapprima per le mani della British American Tobacco, poi per la Honda ed infine Mercedes, l’attuale squadra nacque infatti dalle ceneri della Tyrrell, la leggendaria scuderia che con McLaren, March, Brabham e Lotus costituì lo zoccolo duro dei cosiddetti “garagisti inglesi”, telaio fatto in casa, il classico Ford Cosworth DFV otto cilindri e mano libera a piloti ed ingegneri nel battere il mito, ovvero la Ferrari. Ma l’impronta del genio di Ken Tyrrell e dei suoi uomini ha condizionato pesantemente e condiziona ancora la F1 attuale. Da commerciante di legname, lo “zio Ken” si dette ai motori alla fine degli anni ’50; fu lui a scoprire il talento di un giovane scozzese, un certo Sir Jackie Stewart, che diverrà il primo pilota della storia a vincere tre titoli mondiali, il primo con un telaio Matra di fabbricazione francese, gli altri due con telaio usciti direttamente dalla sua fabbrica. L’apice venne raggiunto nel 1973, Stewart centra il terzo titolo, Tyrrell già dal 1971 gli ha affiancato un giovane francese che è ormai l’ombra del suo capitano, François Cevert. Nell’inferno verde del Nürburgring i due fanno corsa a sé, peccato che Cevert giunse troppo presto all’appuntamento con il destino nell’ultima gara della stagione, a Watkins Glen. Ken dovette così ricominciare daccapo, ma la spirale aveva ormai imboccato la via discendente. Tyrrell si confermò un ottimo manager e continuò a palesare un particolare fiuto per i giovani talenti. Futuri drivers della Ferrari come Jody Scheckter, Didier Pironi, Michele Alboreto, Jean Alesi e Ivan Capelli si fecero tutti le ossa con le vetture blu di Ken Tyrrell. Ma oltre ai piloti, il boscaiolo mostrò un fiuto eccezionale anche per i tecnici. Fu lui a dare fiducia ad un certo Derek Gardner, che nel 1976 sconvolse il mondo con la prima vettura F1 a sei ruote, la famosa Tyrrel P34.

Affidata a drivers come Scheckter, Ronnie Peterson e Patrick Depallier la vettura colse una vittoria e numerosi podi, ma fu poi “vittima di se stessa”. Sempre nel campo delle innovazioni tecniche, fu proprio sulla Tyrrell, nel 1990 con il modello 019, ad introdurre la soluzione del muso rialzato che da oltre venti anni è comune a tutte le vetture di F1, congegnato da due tecnici, Harvey Postlethwaite e Jean Claude Migeot, il primo con un passato ed il secondo con un futuro, seppur breve, alla Ferrari. Anche la soluzione dei “candelabri“, copiata da tutti ma poi vietata comparve la prima volta su una Tyrrell a Montecarlo nel 1997. La personalità del “boscaiolo” fu presente fino alla fine, nel 1997 Ken cedette la proprietà del team alla British American Tobacco a causa di un cancro, ma essa per il 1998 gli impose come prima guida un brocco brasiliano, Ricardo Rosset, dotato però di ottimi sponsor rispetto all’esperto e più veloce Jos Verstappen; Tyrrell per protesta abbandonò la barca che aveva fondato e condotto per quasi trent’anni. Come si suol dire, il carisma non lo compri al supermercato.

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