The Hateful Eight – Il Western secondo Tarantino

di Enrico Bulleri.

Dopo una pausa di tre anni, successiva al suo ultimo film candidato agli Oscar e acclamato quasi unanimemente dalla critica “Django Unchained”, su di un ex-schiavo in cerca di vendetta nel periodo immediatamente successivo alla Guerra di Secessione. il geniale Quentin Tarantino è tornato con The Hateful Eight.

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E l’uomo, ha messo su uno spettacolo degno della sua fama. Per la sua ultima incursione nel genere western, Tarantino ha mirato ancora più in alto per quanto riguarda la tecnica cinematografica insuperabile della pellicola di un tempo, e quasi ossessionatone ha girato il film in Ultra Panavision 70 mm., diventandone una delle caratteristiche più affascinanti dello stesso film. Per coloro che sono totalmente fuori da queste cose, la pellicola nel formato 70 millimetri è stata praticamente il formato dell’immagine cinematografica più spettacolare della storia della settima arte, ma era ormai morto da anni. Certo, Christopher Nolan lo ha riutilizzato per “Interstellar” e Paul Thomas Anderson ci si è dilettato per il formato di “The Master” e “Vizio di forma” (Inherent Vice), ma sono state le primissime eccezioni dopo che non vi era più stato un film in 70 mm., uscito, da moltissimi anni. Fino a che Tarantino, non è arrivato.

Girando il film in Ultra Panavision 70 mm., l’undicesimo girato in questo formato e con i medesimi obiettivi che furono stati utilizzati per “Ben-Hur”, QT ha realizzato un nuovo western riempito con i dettagli vividi e i suoni esemplari che soltanto il 70 mm è in grado di offrire. Ma, soprattutto, con l’aiuto della The Weinstein Company, ben 100 sale cinematografiche in 44 paesi del mondo si sono tecnologicamente “riadattate” per le proiezioni in 70 mm, dando a Tarantino la possibilità di effettuare il 25 dicembre una speciale uscita denominata “Roadshow” (fortuna che noi in Italia avremo soltanto ritardatissima uscita del film a inizio febbraio, dato che solo l’Arcadia di Melzo vicino Milano sarà -nella sala Energia da poco rinnovata- l’unico cinema in tutto il territorio nazionale che proietterà il film nella versione di cui stiamo parlando, a 70 mm.). La versione Roadshow 70 mm. di The Hateful Eight offre in più oltre a sette minuti tagliati dall’edizione normale in digitale, una ouverture e un intervallo come per i vecchi Kolossal di una volta, e il pubblico riceve pure un programma. Rendendo l’andare al cinema ancora l’evento che merita. Ma con tutto il clamore circostante The Hateful Eight, il pubblico potrebbe rimanere stupito anche dal cuore, dal vero nucleo di questo evento cinematografico?

C’è in realtà un film davvero memorabile al centro di questo evento cinematografico? Sì. Mille volte sì. Un milione di volte sì. Se qualcuno avrà mai pensato che Tarantino potesse fallire con il cinema classico della vecchia scuola -e forse per distrarre da una sceneggiatura che si poteva pensare debole-, si è mortalmente sbagliato. Tarantino ha realizzato un western che utilizza tutto ciò che il formato ha da offrire per amplificarne i dialoghi meravigliosamente scritti e l’intensa ambientazione teatralmente concentrazionaria e d’assedio, Tarantino ha realizzato un western che utilizza tutto ciò che il formato ha da offrire per amplificare i meravigliosi dialoghi e l’intensa, ribollente ambientazione al centro del suo ultimo capolavoro, carico come sempre di tematica razziale. Con un cast di attori magnifici, una splendida fotografia, una partitura perfetta di Ennio Morricone e l’esplosione continua dei momenti di violenza grafica propri di Tarantino, The Hateful Eight è infinitamente interessante e infinitamente divertente. Il nostro regista più innovativo è riuscito ancora una volta nella creazione di un film avvolgente per lo spettatore e che rende ancora l’andare al cinema una esperienza appassionante.

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Quale il nirvana di un cinefilo. Una bufera di neve si sta rapidamente avvicinando. L’autista di una diligenza (James Parks) sta cercando di tirarsene fuori prima che la tempesta arrivi davvero. All’interno della diligenza vi è John “The Hangman/Il Boia” Ruth (Kurt Russell), un cacciatore di taglie il quale sta tentando di raggiungere la merceria e locanda di Minnie con accanto la sua taglia da 10000$ che la forca sta attendendo a Red Rock, ovvero Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh), e non senza incontrare alcuna difficoltà. Tuttavia, la corsa verso la merceria di Minnie non va come previsto. In primo luogo, Ruth e il conducente trovano sulla loro strada il Maggiore Charles Marquis Warren – come il regista di western degli anni sessanta – (Samuel L. Jackson) in piedi nella neve. Armato di una pila di cadaveri e due pistole mortali, Warren sta tentando di arrivare fino a Red Rock per ottenere il denaro delle sue taglie. Inizialmente paranoico verso Warren ma rispettoso della sua grande fama, alla fine Ruth lo invita salire a bordo. Più tardi nel percorso, Ruth e Warren incontrano lo sceriffo Chris Mannix (Walton Goggins), un ex guida sudista ribelle che afferma di essere il nuovo sceriffo designato di Red Rock. Naturalmente, con un celebre Maggiore Unionista di colore e un sostenitore dei confederati nella stessa vettura, le cose possono diventare un po’ rischiose. Ma quando tutti arriveranno alla Merceria di Minnie, le cose si faranno molto interessanti. Secondo l’uomo che lì vi lavora come aiuto, un’altra diligenza per Red Rock è appena partita. All’interno della merceria, c’è il generale Sanford Smithers (Bruce Dern), famoso generale confederato che non si alza mai dalla poltrona. C’è Oswaldo Mobray (Tim Roth), un inglese dal parlare educato che sembra essere il nuovo boia diretto a Red Rock. Inoltre, siamo introdotti al personaggio di Joe Gage (Michael Madsen), un tipico cowboy che siede silenziosamente in fondo alla stanza scrivendo la storia della sua vita. E, naturalmente, Bob (Demian Bichir), il messicano che è stato messo a capo della Locanda/Merceria mentre Minnie e Sweet Dave (i proprietari) sarebbero andati a visitare la madre di lei. Ma tutte queste persone sono cio’ che dicono di essere? John Ruth non ne è così sicuro. E con 8 persone molto diverse chiuse in una dispersa locanda con fuori una tormenta di neve… beh, diciamo solo che le cose si faranno violente.

The Hateful Eight è di gran lunga il film meno commerciale di Quentin Tarantino in diversi decenni, se non mai realizzato. 187 minuti di lunghezza, e pieno di alcune delle violenze più splatter che abbiamo mai visto da Tarantino, oltre che senza vero eroe cui emotivamente attaccarsi, The Hateful Eight è così tetro esattamente come sembra. Direi che “Kill Bill” è piu’ cruento e “Django Unchained”è probabilmente ancora il suo film in generale piu’ violento, ma c’è un certo livello di, beh, odiosità insita nella violenza di questo film che lo rende piuttosto difficile da digerire, a volte. Si tratta in una certa misura di una commedia western dark nella sua oscurità massima, assoluta. La definizione stessa di Tarantino cioè “Otto stranieri in una stanza che si uccidono l’un l’altro,” è piuttosto precisa. Ma con questo concetto e con questa oscura ironia malvagia, Tarantino ha inventato qualcosa che è del tutto singolare nella sua filmografia.

The Hateful Eight è un’esperienza quasi interattiva, soprattutto se fruita nell’edizione 70 millimetri Roadshow. Ci sono numerosi film in questi giorni da vedere e sentirsene completamente distaccati. Può essere un buon film, o non può, ma ci sono pochissimi film che utilizzano il pubblico con risultati del tipo di questi. Anche i grandi recentissimi e meno recenti film come “The Big Short(La Grande scommessa)” e “The Wolf of Wall Street”, non dispongono della grande quantità di trucchi narrativi e di quella che si dice la rottura della quarta parete, non possiedono questo spirito inclusivo. “The Hateful Eight” vi riesce, possiede queste capacità. Questo è un film che vi tira dentro nel suo universo avvolgendovi nel suo mistero. Dal racconto architettato e magistralmente messo giù in forma di scrittura da Tarantino, al dialogo, al modo in cui il film è messo in scena e allo stile, The Hateful Eight è un tipo di pellicola che richiede di essere vista con un pubblico e Tarantino lo sa. Questo è un film che si percepisce come evento ed è un altro dei suoi aspetti piu’ attraenti. Ma al di là degli aspetti di evento della presentazione, The Hateful Eight è un film di mistery finemente sintonizzata e calibrata con la costruzione dialettica e situazionale, degli stessi gesti e tic, espressioni, fisiognomica dei protagonisti, e la ancora più tanta tensione, che ci si sente come se il tutto potrebbe esplodere in una palla di fuoco e di fiamme da un momento all’altro.

Sì, il primo tempo è lento. I primi tre capitoli sono un sacco di messa a punto drammatica e di dialogo e non c’è davvero molto oltre che stia accadendo. Almeno in superficie. Prima dello scoppio di violenza che conclude il capitolo 3, notate come Tarantino costruisce l’atmosfera e le intenzioni dei personaggi. Ogni linea di dialogo è importante. C’è molto di quel che Tarantino ha da dire sulla costruzione e lo Stato, degli Stati Uniti d’America (temi che sono fortemente d’impatto e ancora più da sezionare, ai giorni nostri), ma ancora più importante, ogni battuta, ogni dialogo apporta una sorta di approfondimento, alla conoscenza che abbiamo dei personaggi, nonchè alle loro esperienze, alla loro formazione. Ogni suggerimento, ogni sospetto, ogni più piccola parte di azione o inattività, lascia con grande abilità condurre alla pienezza di senso che si compie nello svolgimento della seconda parte. Nel classico stile di Tarantino, il secondo tempo è ricolmo di potenza, dosata da vero fuoriclasse, e di spaventosa intensità. Se dissezionassimo questo film solamente attraverso il suo lento primo atto, spesso guidato solamente dai suoi densissimi dialoghi, non ne otterremmo la ricompensa del secondo di atto, il quale compie letteralmente miracoli.

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Piace quanto Tarantino sia tornato indietro, alla costruzione dei film per capitoli che gli è propria, qualcosa che mancava da “Django Unchained” (non penso che avrebbe aggiunto qualcosa alla forma di quel film, ma è stato comunque un lascito perduto). La struttura che gli viene conferita dalla grandiosa capacità di saltare nel tempo fino alla follia del quarto e ultimo capitolo, dove Tarantino è come sempre in grado di dare al pubblico un contesto impareggiabile, prima di un capitolo finale, selvaggio. E’ da idolatrare il modo in cui misteri della trama e dei personaggi vengono dipanati, facendo attirare sempre più lo spettatore prima di colpirlo con quei bruschi e drastici rivolgimenti che non vedi arrivare e che solo Tarantino è così in grado di costruire. Il confronto tra “The Hateful Eight” e “Reservoir Dogs – Le Iene” è adatto, ma in ogni possibile maniera, “The Hateful Eight” è il film migliore di Tarantino fino ad oggi. Ha un’imprevedibilità che “Le Iene” non possiede, e il Tarantino di oggi è infinitamente più nitido, chiaro e inequivocabile come maestro del cinema e delle sceneggiature, a questo punto della sua carriera. Ed è anche un maestro nel casting. Gran parte della perfetta adesione ai personaggi degli “Otto odiosi” si basa infatti sulle competenze di Tarantino, ma con il cast di questo film si è andati a lambire la magia. Non c’è un personaggio positivo e sono tutti ad ogni modo personaggi orribili , così come sono tutti costretti ad operare nel cast per eliminarsi l’un l’altro. Samuel L. Jackson ha la parte più consistente (come l’unico afro-americano della locanda, è il personaggio tematicamente più rilevante) ed è assolutamente memorabile.

Nessuno ormai sa forse come lui rendere i dialoghi di Tarantino in maniera migliore, riuscendo ad essere assolutamente ipnotizzante. Si tratta di una interpretazione formidabile. Walton Goggins è altrettanto brillante, ed è nel suo rapporto con Tarantino ad un punto tale della propria carriera da poter facilmente prevedere che diverrà uno degli habituè dei film del regista. Goggins fin dai tempi di “The Shield” è divertente in una maniera personalissima che è esattamente quella di cui aveva bisogno il film, e nonostante la sua connotazione razzista iniziale, il suo personaggio finisce per sorprendere. Kurt Russell è anch’esso fenomenale nel ruolo di John Ruth, che è uno dei personaggi più meravigliosamente concretizzati e delineati di tutto il film. Ruth è un uomo paranoico, ma anche con dei principi, uno dei quali è la ferrea intenzione di fare in modo che i ricercati da egli catturati abbiano modo di arrivare vivi per poter pendere dal pendaglio della forca, non importa quale essa sia. E’ eccessivamente sospettoso, pesta una donna in modo pazzesco, e tuttavia, persiste sempre qualcosa di tragico, nel personaggio di Ruth. E credo che chiunque si possa sentire un po’ male per lui, quando si scoprirà di che natura è veramente la sua prigioniera Daisy Domergue, interpretata alla perfezione da Jennifer Jason Leigh. La quale ha ottenuto l’unica nomination all’Oscar come Miglior Attrice non Protagonista per il film, assieme a quella per la colonna sonora ad Ennio Morricone, grazie ad una interpretazione incredibilmente fisica, comprendente sputi, sangue e denti rotti. La Leigh da corpo ad un personaggio che come si suol dire, lo spettatore amerà odiare. Michael Madsen e Tim Roth, sottolineano la sensibilità dell’universo tarantiniano e sono entrambi fantastici, Madsen impersona un personaggio all’apparenza più solitario degli altri, il burbero Joe Gage, e Roth fornisce un’interpretazione unica delle sue nei panni del molto inglese Oswaldo Mobray (un ruolo nel quale si sarebbe potuto vedere anche Christoph Waltz).

A completare il cast, James Parks è molto simpatico come O.B. il conducente della diligenza, Demian Bichir è spesso tremendamente divertente nella parte di Bob il messicano, e che ci crediate o no, Channing Tatum ha un ruolo abbastanza significativo. Avendo persino lui più importanza di quello che solitamente ci si aspetti dai corrivi ruoli ulltimi che Tatum spesso porta sullo schermo. The Hateful Eight è uno dei migliori ensemble di interpreti che Tarantino abbia mai messo assieme, e una delle sue sceneggiature più taglienti. Non c’è dubbio che lo sia. Ma per di più, si tratta di una prodezza registica e di un prodigio della tecnica cinematografica. Tarantino viene sempre apprezzato per le sue sceneggiature, ma il pubblico medio sottovaluta quanto sia bravo con la macchina da presa. Tarantino sa esattamente quanto tempo deve avere ogni inquadratura, ed è un vero Maestro della in scena, della struttura filmica e di tutte quelle modifiche da dovervi apportare. Riuscendo a migliorare ad ogni film. E The Hateful Eight è ancora significativamente un film superiore ai precedenti in senso complessivo, ma sempre della medesima stoffa e qualità. La Fotografia di Bob Richardson è lussuosa ed espansa, utilizzando come detto il grande effetto dato dal formato di 70 millimetri.

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Non posso dirvi quanto sia bello vedere ancora un film stampato e proiettato in pellicola, e Richardson mette tutta la sua arte affinchè l’immagine sia degna di tutta la sua abilità- i colori sono più ricchi e il quadro è nitido e pulito. Questa volta, abbiamo anche la prima colonna sonora originale per un western composta da Ennio Morricone in decenni, ed è un partitura potente. Tesa e inquietante, recuperando anche alcuni pezzi non utilizzati per le colonne sonore di “The Thing”(La Cosa) di John Carpenter, e di The Untouchables”(Gli Intoccabili) di Brian De Palma, dimostra solo quanto ancora sia brillante Morricone come compositore, a 85 anni suonati. Quando tutti questi elementi si combinano insieme, The Hateful Eight è veramente qualcosa da vedere. Quentin Tarantino ha sempre detto di avere intenzione di smettere di fare film una volta che raggiungerà i 10 film diretti. The Hateful Eight è la sua ottava pellicola. E nessuno vorrebbe vedere terminare di colpo la sua filmografia.

Con The Hateful Eight Tarantino dimostra di essere ancora il più audace, il più elettrizzante e lucido nella sua visione di cinema, dei registi americani oggi in gioco. Nessuno in questo momento ha una visione d’insieme così sconfinata e assieme quadrata quale la sua, e quando arriverà il giorno in cui la sua carriera registica volgerà al tramonto, sarà molto triste per l’industria. Ma per ora, è solo il momento di festeggiare il suo nuovo, magistrale, costantemente eccelso, lavoro. The Hateful Eight è tutto ciò che si può desiderare da un film di Tarantino e come western anche di più, agendo anche da promemoria dei tanti perchè si rimase folgorati ben 23 anni fa, nella lontana estate del 1992, dal suo primo film “Le Iene”(Reservoir Dogs). Quando ho visto The Hateful Eight, sapevo già che il pubblico dietro di me immaginario o meno che sia riderà, poi sogghignerà, distogliendo lo sguardo in alcuni momenti ma sempre ben seduto sul bordo delle sue poltroncine. Non è facile nel 2016 trovare spesso esperienze del genere . Ci vuole un film davvero speciale per riuscirci.

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