Recensione – Dire Straits – Alchemy

di Igor Carta

I Dire Straits sfondarono nel mondo della musica con uno stile inedito e fuori moda, quando impazzavano il punk e la disco music

dire straits

Vi fu un tempo in cui, precisamente alla fine degli anni ’70, qualcosa di totalmente fuori moda sconfisse le mode musicali del momento, fino a surclassarle del tutto. Fu allora che debuttarono di Dire Straits, che con il loro nuovo modo di fare musica oscurarono i fenomeni dell’epoca, punk e disco music. Un po’ come se dei redivivi Guns n’ Roses, debuttando oggi, spazzassero via l’orda di neomelodici usciti dai vari reality show. All’inizio erano solo tre, due fratelli chitarristi, Mark e David Knoplfer ed il bassista John Illsley, tutti con brevi militanze in diverse piccole band della scena inglese, poi trovarono anche il batterista, Pick Withers, a cui pare venne l’idea di battezzare la neonata band “Dire Straits”, traducibile in “terribili ristrettezze”; il loro primo concerto si tenne sul retro della palazzina in cui abitavano, prendendo la corrente necessaria direttamente dal loro appartamento. Registrarono dunque un demo con cinque tracce, tra cui la celeberrima “Sultans of Swing“, uno dei nastri venne consegnato ad un DJ della BBC, per ottenerne un parere. Questi rimase così colpito dal lavoro della band da inserire stabilmente Sultans of Swing nella programmazione della radio. Tempo due mesi ed i Dire Straits firmarono il loro primo contratto discografico, siamo nel 1978. Nel febbraio di quell’anno esce l’album di debutto, omonimo della band; a giugno del 1979 è il turno di “Communiqué, che permette alla band di farsi conoscere anche in Nordamerica.

La consacrazione definita è del 1980 grazie all’album “Making Movies“, contenente quelli che sono alcuni tra i brani più famosi della band, ovvero “Tunnel of Love” e “Romeo and Juliet”, gli stessi brani che eseguiranno, in veste di ospiti, al Festival di Sanremo del 1981. Nel settembre del 1982 è il turno di “Love over Gold” che dà l’avvio ad un lungo tour mondiale che termina a fine 1983; qualche mese dopo esce finalmente “Alchemy Live “, registrato interamente dal vivo durante il concerto di chiusura del tour all’Hammersmith Odeon di Londra. Il doppio (all’epoca) LP conteneva tutto il meglio della produzione della band fino ad allora, impreziosita da un audio possente ma mai invasivo, che dà all’ascoltatore la possibilità di apprezzare, sia ad orecchio che, per chi predilige (all’epoca i VHS) alla vista il sopraffino lavoro non solo di Mark Knoplfer, ma di ottimi musicisti davvero ben assortiti. Le note di basso di Illsley sono spalmate sulle tastiere di Alan Clark con la perfezione degna di un computer, mentre il nuovo drummer Terry Williams, specie in Sultans of Swing, impressiona per incisività e precisione. Pezzi che magari nell’album passarono decisamente in sordina, come “Expresso Love”, dal vivo assumono tutt’altra caratura, mentre l’apice dell’album è certamente raggiunta nel secondo LP/CD, con un pezzo tratto dal musical “The Caroules Waltz” a fare da intro a “Tunnel of Love” a cui seguono subito dopo le cupe atmosfere di “Telegraph Road“, per farla breve, mezz’ora di goduria. L’album è consigliatissimo per accompagnare lunghi viaggi in auto, specie quelli in solitaria o per momenti da dedicare ai libri o alla riflessione. Un capolavoro da affiancare al successivo e forse più grande successo di Knoplfer e soci, ovvero Brothers in Arms.

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