OCSE – Cresce la Diseguaglianza Sociale

di Andrìa Pili.

Il recente rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico – «In it together: why less inequality benefits all» – sarebbe solo l’ennesima certificazione della crescita della diseguaglianza negli ultimi due decenni se non aggiungesse una importante considerazione: precariato e lavoro part-time hanno svolto un ruolo decisivo in questa ascesa della disparità sociale nei 34 paesi OCSE, danneggiando la crescita economica.

ocse

Ponendo in evidenza le nefaste conseguenze delle riforme del mercato del lavoro, ridimensionando dunque il ruolo del progresso tecnologico, l’organizzazione pare smentire i difensori strenui di determinate politiche, propagandate come necessarie per la crescita e la modernizzazione del lavoro nel mercato globale.

Più della metà del lavoro creato nei 34 paesi negli ultimi vent’anni è stato lavoro atipico, circa 1/3 dell’occupazione totale. La remunerazione di questa tipologia di lavoro tende al ribasso, perciò ha inciso particolarmente nell’ineguaglianza dei salari. Tra il 2007 ed il 2013, mentre i lavori a tempo indeterminato sono crollati, quelli precari sono aumentati. Lo strapotere dei datori di lavoro è quindi aumentato a dismisura, con i lavoratori a tempo determinato come vittime predilette: tra il 2008 ed il 2011 solo in 4 paesi OCSE su 34 le stabilizzazioni di precari hanno oltrepassato il 50%.

I dati sono piuttosto chiari: il 10% più ricco guadagna 9.6 volte più del 10% più povero (negli anni’80 il rapporto era pari a 7); il 10% più ricco possiede il 50% delle ricchezze; il 40% più povero possiede il 3% delle ricchezze; tra 2007 e 2011 i più ricchi hanno perso il 1.5% del proprio reddito, i più poveri il 13.5%.

Come interpretarli? Di fronte a questi numeri tutti coloro che hanno – anzitempo – suonato le campane a morto per la lotta di classe, saranno costretti a ricredersi. La Politica è ancora – e non può non essere – il terreno di scontro tra differenti interessi sociali. L’assenza di forti organizzazioni in difesa degli interessi popolari – l’incapacità dei partiti odierni di Sinistra di farsi interprete del disagio diffuso – ha lasciato campo libero alla riconquista capitalista nel campo del Lavoro (e non solo). La “politica” sembra appiattita in un libero mercato della democrazia: i partiti difendono i medesimi interessi sociali, il duopolio ha portato avanti le stesse politiche sociali ed economiche e  cerca di racimolare più voti puntando innanzitutto sulla comunicazione.

Quest’ultima, in Italia, di fronte ad un conflitto sociale sempre più forte – il 20% degli italiani più ricchi possiede il 61% della ricchezza – è ormai una continua istigazione al conflitto etnico, innanzitutto da parte di un centrodestra sempre più becero. Se i mezzi di comunicazione riflettono le opinioni della classe dominante, dovremmo cominciare ad essere molto preoccupati.

Podemos

L’unica via di uscita dalla diseguaglianza sta nella lotta politica, nell’organizzazione di una forza capace di catalizzare le ragioni di tutti i reietti dell’ultimo ventennio in nome di un progetto emancipatore. Un progetto che punti meramente alla riduzione della diseguaglianza – come Podemos in Spagna, ove il 10% più ricco guadagna 11.7 volte di più del 10% più povero – ma rifiuti una connotazione rivoluzionaria, potrebbe essere solo un interessante fuoco di paglia.

L’OCSE propone come suoi rimedi: educazione; incentivi all’occupazione femminile; riforma del sistema fiscale. Inoltre, mette in guardia dalle scappatoie renziane meno precariato in cambio di meno diritti – proponendo politiche che migliorino anche la qualità del lavoro. Sostituire il precariato con minori tutele (come almeno afferma di voler fare il governo italiano) è una falsa soluzione al problema dell’occupazione. Esattamente come fu il precariato venti anni fa. La ratio è identica: le ragioni dei datori di lavoro come le uniche ammissibili.

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