Multinazionali Europee – Migranti di Lusso

di Andrìa Pili.

Arachidi gambiane, pesce delle acque senegalesi, oro eritreo possono giungere in Europa senza grossi problemi. La francese Total può installarsi nel Mali, l’italiana Eni e l’anglo-olandese Shell in Nigeria. Un gambiano, un senegalese, un eritreo, un malese, un nigeriano – al contrario – devono mettere in conto di morire in mare per arrivare in Europa, nel tentativo di sfuggire alla guerra, alla repressione o alla fame.

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Sebbene il conflitto siriano abbia causato una buona percentuale dell’incremento dei profughi degli ultimi 4 anni – la Siria è stato nel 2014 il primo Stato per migranti nel Mediterraneo – è importante analizzare in particolar modo alcuni Stati dell’Africa subsahariana, da sempre al centro dei flussi migratori verso l’Europa: Gambia, Senegal, Nigeria, Eritrea.

Gambia


Pur essendo da diverso tempo tra le prime dieci nazionalità per migrazione in Europa, non è molto presente nell’informazione. Esso è il decimo paese africano per tasso di emigrazione (2.34 ogni 1000 abitanti) e – nel giro di dieci anni – il numero di migranti è quasi raddoppiato passando dai 35000 nel 2000 ai 65000 nel 2010. Il Paese afro-occidentale è una sorta di striscia di terra dalla superficie poco più grande dell’Abruzzo, deve il suo nome al fiume scoperto dai portoghesi nel 1455. Per secoli fu al centro del commercio di schiavi poi gli inglesi costruirono la città di Bathurst – oggi la capitale della Repubblica, Banjul – intorno alla quale si stabilirono diversi coloni liberti. L’impero britannico, specie nel XIX secolo, si contese il territorio con la Francia e lo dominò fino all’indipendenza pacifica raggiunta nel 1965. Da allora il paese ha conosciuto solo due presidenti. Il primo, il progressista Dawda Jawara, guidò la Repubblica per circa trent’anni durante i quali essa fu una delle poche eccezioni multipartitiche in un’area dominata da partiti unici; molto forti le relazioni con la Gran Bretagna e le altre colonie ex britanniche. Nel 1994 fu abbattuto da un sanguinoso colpo di stato militare, sull’onda della rabbia dei soldati non pagati per la missione svolta in Liberia. Da allora il presidente è Yahya Jammeh, il quale nel 1996 ha ricreato una democrazia formale ma – a differenza della precedente – è fortemente criticata dalle associazioni umanitarie per la violenza contro gli oppositori e la proibizione di tre grandi partiti avversari. Recentemente, il parlamento ha approvato una severa legislazione contro gli omosessuali, puniti con l’ergastolo se recidivi o malati di aids. Il Capo di Stato si è sempre contraddistinto per affermazioni omofobe, come quando paragonò i gay alle zanzare anofele.

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Nel paese solo 1/6 della terra è arabile e, inoltre, è volta in gran parte alla coltivazione di arachidi per l’esportazione. L’economia è dunque fortemente dipendente dalla fluttuazione della produzione e del prezzo mondiale delle arachidi. L’emigrazione è diffusa in tutte le classi sociali ma la sua maggiore fonte è costituita dalla popolazione eccessiva nelle zone rurali; diversi individui, migrati dalle campagne alla città non hanno altra alternativa alla disoccupazione se non la fuga dal Paese. La Spagna è lo Stato che ospita il maggior numero di gambiani (22000) seguito dagli Usa (7500) e, in Europa, da UK (5000), Germania (4000), Svezia (3400).

Oltre l’agricoltura c’è un’economia turistica basata su alcuni resort sulle coste. Jammeh, tuttavia, vorrebbe fare del Gambia una potenza petrolifera: nel 2004 scoprì delle riserve di oro nero, il quale costituisce circa il 7% delle esportazioni dello Stato africano. I rapporti con l’Europa si sono deteriorati dal giorno del colpo di Stato del 1994 ed il Paese è, inoltre, recentemente uscito dal Commonwealth. La Cina è il principale partner commerciale: assorbe il 52% delle esportazioni del Paese ed è il principale Stato da cui il Gambia importa risorse, circa 1/3 dell’import totale (atlante complessità MIT).

Senegal


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Paese dalla tradizione democratica, orientato verso l’agricoltura e con un importante industria ittica. Proprio questa è continuamente defraudata del proprio patrimonio. Infatti, dal 2002 al 2013 nel mercato ittico senegalese si registrò un calo del pesce di circa il 75%. Le sue riserve vengono depredate specialmente da pescherecci dei paesi europei. Una persona su 5 lavora nell’industria ittica; da diversi anni il governo non aderisce più all’accordo con l’UE che promette sostegno tecnico in cambio di diritti di pesca ed ha proibito i pescherecci stranieri nelle sue acque. Tuttavia, la predazione continua a causa della corruzione della classe dirigente locale e della criminalità organizzata. La soddisfazione a tutti i costi della domanda dei consumatori europei, quindi, non fa che alimentare l’emigrazione senegalese verso l’Europa.

Eritrea


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Stato dell’Africa Orientale – ben noto agli italiani, per il proprio passato coloniale – devastato da guerre per decenni ed ora da una dittatura – di Isaias Afewerki, al potere dalla proclamazione dell’indipendenza, nel 1991 – che ha isolato il Paese dal resto del mondo. Sul Guardian, un emigrato eritreo ha dichiarato:

«Se dovessi morire nel tentativo di raggiungere l’Europa, sarebbe comunque meglio di essere torturato».

Nel 2015 (dati UNHCR) i migranti clandestini eritrei si sono triplicati. Da cosa fuggono? Innanzitutto dal servizio militare obbligatorio e dalla repressione; poi non mancano le cause economiche. Nel 2011 – malgrado il regime cerchi di impedire ogni fuga di informazioni – si è accertata l’esistenza di una carestia nel Paese, sempre negata dal Governo.

Il Neocolonialismo delle Multinazionali


Probabilmente la situazione nigeriana è più nota all’opinione pubblica europea. È nota l’esistenza di un conflitto interno tra le truppe governative ed i barbari islamisti di Boko Haram. Poco note, invece, le contraddizioni socioeconomiche del Paese: prima economia dell’Africa – l’anno scorso ha sorpassato il Sudafrica – ma il 63% degli abitanti si trova sotto la soglia di povertà (vivono con meno di un dollaro al giorno) mentre il 28% degli uomini ed il 50% delle donne è analfabeta, come il 54% dei giovani dai 5 ai 16 anni. Il petrolio ha drogato l’economia e la politica nigeriana: dall’oro nero dipendono l’80% delle entrate statali e circa il 90% delle esportazioni. Questa risorsa – lungi dall’essere fonte di fortuna – ha chiuso la Nigeria in una trappola, generando una classe politica corrotta, clientelare e ladra oltre che esponendo i nigeriani al neocolonialismo delle multinazionali occidentali, in termini di sfruttamento e inquinamento.

neocolonialismo

Questa analisi non esaustiva ha il solo intento di mostrare i limiti di una soluzione eurocentrica al problema dell’emigrazione. Ogni provvedimento volto a restringere gli sbarchi, limitare le partenze, redistribuire i profughi tra i vari paesi dell’Unione, non distoglierà nessun oppresso dalla naturale ricerca di una vita migliore. Anche a rischio della propria vita, in mancanza di alternative. Non si parli però in termini di ipocrisia neocoloniale – «andiamo lì a costruire ospedali e strade»; «aiutiamoli nei loro paesi». Il 20% del capitale africano è una proprietà degli altri continenti, arriviamo al 30-40% per quanto concerne settori importanti come la manifattura (Piketty, “Il Capitale nel XXI secolo”). La soluzione a lungo termine sarebbe, quindi, nella fine dello sfruttamento dell’Africa. A breve termine, l’unica soluzione compatibile con i diritti umani è quella di facilitare la migrazione regolare. Gli Stati europei, invece, in che direzione si sono mossi?

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