Migranti – 23000 morti non sono una Statistica

di Andrìa Pili.

La celebre frase attribuita spesso, in diverse versioni, al gerarca nazista Heinrich Himmler «Cento morti sono una catastrofe, un milione soltanto una statistica» sembra risuonare nell’aria mentre assistiamo ai dibattiti riguardo l’ultima strage di migranti nel Mar Mediterraneo, la più grande nella storia, con una stima oscillante da 700 a 950 morti.

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Sono 23000 i migranti morti nel Mediterraneo dal 1989 ad oggi (Fortress Europe). Nel solo Canale di Sicilia, 1600 nel 2015, 3500 nel 2014. 219000 i profughi sbarcati in Sicilia nel 2014. La classe politica italiana ed europea focalizza il proprio impegno sulla riduzione di queste cifre, assolvendosi da ogni responsabilità riguardo le cause dell’immigrazione clandestina. Essendo considerati solo come un numero, nessuno si cura delle ragioni per cui migliaia di persone sono costrette ad abbandonare i propri paesi. Le politica esistente (Triton) è pensata più come un’operazione di polizia e, in ciò, le soluzioni proposte per il futuro- dal blocco navale caro all’estrema destra, alle operazioni mirate contro gli scafisti per stroncare sul nascere la partenza dei barconi sino ad un intervento militare di terra in Libia – non si discostano: sono tutte improntate sulla “protezione delle frontiere” come obiettivo primario. Tenendo conto che gli immigrati necessari per fornire le imprese di lavoro merce a basso costo giungono abbondanti da altre vie – la grande maggioranza dei clandestini giunge via aereo con un visto turistico, poi non rinnovato – respingere chi viene dal mare diventa più conveniente. Altrimenti detto, oltre le lacrime di coccodrillo, ciò che sta a cuore agli Stati europei non è la vita di centinaia di migliaia di uomini e donne- intesa come il diritto a vivere degnamente, non solo con la sopravvivenza delle funzioni vitali corporee- ma solo evitare la scocciatura di ritrovarseli cadaveri nei pressi delle proprie coste, spendere il meno possibile per soccorso e accoglienza, soddisfare la xenofobia di una buona fascia dell’elettorato.

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Su questa, i barconi esercitano un grande impatto visivo, nonostante rappresentino solo una quota minoritaria dell’immigrazione clandestina (poco più di 1/10). Questo aspetto fa convergere la propaganda dell’ISIS e l’estrema destra europea. Infatti, entrambi hanno interesse a diffondere il terrore del migrante presso gli europei; se un esponente dello Stato Islamico afferma che invierà dei terroristi attraverso i barconi, lo fa perché – da buon comunicatore, come gli esponenti del Califfato hanno dimostrato di essere- è consapevole del timore che provocherà nell’opinione pubblica europea. Benché non ci sia alcun elemento a sostegno della concretezza di tale pericolo, ai movimenti più islamofobi fa comodo crederci. E la crescita dell’islamofobia in Europa, a sua volta, accrescendo la discriminazione verso le comunità islamiche, porterà nuove leve al Terrore.

Per l’Europa – dunque – si tratta di allontanare da sé un problema che ha contribuito a creare, senza risolverlo: repressi gli scafisti, distrutti i barconi, bloccate le navi, gli oppressi continueranno comunque a emigrare. Analizzare le condizioni dei maggiori paesi di provenienza di questi profughi – che cercano di raggiungere il Vecchio Continente prevalentemente da Libia, Egitto e dalla Turchia – diventa essenziale. I 28 superstiti della strage di domenica erano somali, eritrei, maliani, senegalesi, ivoriani, ghanesi, della Sierra Leone ed anche bengalesi e del Suriname. Nel 2014 (dati Frontex) le prime dieci nazionalità per migranti nel Mediterraneo erano: Siria, Afghanistan, Gambia, paesi subsahariani, Somalia, Nigeria, Senegal, Eritrea, Palestina, Mali. Cosa li spinge a rischiare la vita pur di scappare?

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