Le Radici Postmoderne del Complottismo

di Juanne Pili.

Cosa accomuna il complottismo ad uno strumento come il cacciavite?

complottismo

Per capirlo dobbiamo fare un viaggio a ritroso, quando due grandi filosofi contemporanei si incontrarono in un dibattito che fece epoca. Da una parte Richard Rorty, filosofo americano scomparso pochi anni fa, neo-pragmatista, teorico del relativismo e del pensiero postmoderno; dall’altra il semiologo Umberto Eco.

Secondo Rorty la verità è come una pacca sulla spalla che diamo ad una affermazione che ci piace, affermando il primato della solidarietà sulla verità la quale non viene dalle cose ma da noi. Lo riporta chiaramente nel suo libro più discusso, La filosofia e lo specchio della natura. Così Rorty fece il celebre esempio del cacciavite, che in fondo potrebbe essere usato anche per pulirsi le orecchie (voi a casa non fatelo) o aprire una busta da lettere. Eco ribatte affermando che certamente il cacciavite potremmo usarlo anche per altri scopi, persino come arma, ma non possiamo farci tutto quel che vogliamo noi, solo ciò che l’oggetto ci permette, per le proprietà che offre. Per esempio, sarebbe difficile usare il cacciavite come cibo o come cucchiaio. La verità dunque non viene da noi, ma dalle cose, che noi certamente manipoliamo con la creatività, ma sempre secondo i limiti che la realtà ci pone.

Prima di proseguire ci permettiamo una critica sul primato della solidarietà sulla verità. Certamente è desiderabile avere un medico compagnone che ci rassicura, ma alla fine conta pure che riesca a curarci. Eppure sono sempre più le persone che snobbano le cure cosiddette “ufficiali” a favore di quelle “alternative”; trascurando il fatto che l’alternativa ad una cura di cui si è verificata l’efficacia è una cura potenzialmente inefficace, non sarà certo la maggiore “disponibilità umana” dell’omeopata a cambiare le cose. Ed effettivamente un abbandono della realtà, per affermare un primato del puro intelletto, sradicato da essa, significa lasciare tutto immutato, in favore di uno status quo, di cui tanto saremmo sempre in balia.

Le teorie di complotto nascono in concomitanza con le tesi filosofiche che vertono alla questione del Postmoderno. Ovviamente non esiste un collegamento diretto, se non nel clima di antirealismo e di demonizzazione della scienza che questa corrente di pensiero riflette ed in un certo senso amplifica. Tutto parte da un libro di Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna, pubblicato nel 1979. Fatto salvo che l’autore non avesse intenzione di fondare una nuova “moda filosofica”; nel testo si constata semplicemente la fine delle grandi narrazioni, le quali non sarebbero più capaci di spiegare un mondo sempre più complesso e frammentato. Ancora nella prima metà del Novecento potevamo infischiarcene di quel che avviene in Tasmania, oggi no. La scienza e la tecnica hanno rotto i confini mettendo in inevitabile scontro le culture, tanto da far pensare a Francis Fukuyama che la storia fosse già finita. Infine, la speranza che il sapere portasse ad una maturazione etica sempre maggiore dei popoli sembra definitivamente andata in fumo, attraverso i forni di Auschwitz.

Da qui il motto Postmoderno per eccellenza: «Non esistono fatti, solo interpretazioni», travisando una frase di Nietzsche, il quale non voleva essere così drastico. Una estrema conseguenza di questa affermazione è ben rappresentata da una analisi di Bruno Latour, il quale si chiese in un articolo se Ramsete II fosse davvero morto di tubercolosi. Questo a seguito di uno studio effettuato sulla sua mummia per capire di cosa fosse morto. Secondo Latour non potevamo affermare – come è stato effettivamente verificato – che il Faraone fosse morto di quella malattia, in quanto il suo bacillo è stato scoperto solo nel 1882. Insomma, siccome la realtà per i postmodernisti è socialmente costruita, non poteva esistere la tubercolosi prima della scoperta della sua causa. Si tratta dello stesso meccanismo che legittima la credenza nelle scie chimiche, in quanto la negazione della loro esistenza, come la intendono i complottisti, sarebbe una speculazione culturale, al pari di chi sostiene il contrario. Idem dicasi per chi nega gli allunaggi delle missioni Apollo. Qualsiasi evidenza scientifica – peggio ancora se proviene da istituzioni come la NASA – diviene così la voce del potere, che pretende di stabilire la verità, al pari di un qualsiasi dogma religioso.

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L’Omeopata per quanto “umano” e “solidale” possa essere nei confronti dei pazienti, non sarà mai sostituibile a quello “stronzo” del tuo medico, che anche se antipatico è in grado curare sul serio.

Tutto questo si accompagna ad una sorta di fobia della scienza. Una certa parte dei filosofi – specialmente quelli di radice Continentale (ma esisterebbe anche un antirealismo analitico) – si sono sentiti minacciati, ritenendo di dover contrastare una presunta pretesa di custodire la verità da parte degli scienziati. Derrida andrà anche oltre sostenendo che «non esiste fuori-testo». La realtà sarebbe dunque un qualcosa di continuamente costruito, verosimilmente dal potere. Per tanto ciò che la scienza afferma o confuta potrebbe leggersi come l’arroganza di un potere che costruisce continuamente ciò che per le masse deve essere vero o falso. Va da se che, per quanto non possiamo attribuire il Complottismo direttamente al pensiero Postmoderno, non possiamo ignorare gli effetti che questo clima antirealista ha generato. In quest’ottica il debunker è il paladino del regime costituito, supremo difensore di uno status quo che si identifica nella scienza e nella tecnica. Quando neghiamo che le Contrail siano Scie Chimiche volte ad avvelenarci o a controllare le nostre menti, non faremmo altro che difendere una “costruzione culturale” di regime. Le Twin Towers potrebbero benissimo essere frutto di una caduta controllata, semplicemente perché questo è reale nella stragrande maggioranza dei video caricati su YouTube. Cercare di dimostrare il contrario non sarebbe altro che imporre una verità di governo. Inoltre il complottismo è effettivamente solidale, con quanti credano nelle teorie di complotto e tutti i prossimi che ritengono di dover “informare”, mentre la verifica dei dati è sempre qualcosa di impersonale, “inumana”, che si guarda bene dal sintonizzarsi con le emozioni. E’ la differenza, se vogliamo, tra Dr. House e l’omeopata.

Una corrente avversa – decisamente organica a chi si dedica all’attività di debunking – è quella del Nuovo Realismo. Da non confondersi con quello “vecchio” dogmatico e decisamente reazionario. Secondo i nuovi realisti è molto meglio un medico stronzo, ma bravo, di uno solidale e “cialtrone”. Accertare la realtà non equivale ad accettarla. Le interpretazioni sono sempre di qualcosa; esistono tante interpretazioni di un fenomeno, ma queste non sono a pari merito la verità del fenomeno. Gli oggetti si pongono a noi coi loro limiti ma anche offrendo delle possibilità. Infine, proprio il metodo scientifico e i tanti metodi derivati che sono stati applicati alle varie scienze, sono prima di tutto una conquista della Filosofia. Per tanto, non ha senso per il filosofo sentirsi minacciato dal sapere scientifico. Si è persa una visione unitaria e universale della Cultura che sarebbe meglio recuperare. Lo scienziato da solo non è in grado con la sua conoscenza specifica, né di spiegare ai non addetti ai lavori (a meno che non abbia doti da divulgatore esterni alla sua preparazione) le sue scoperte, né di coordinare il suo sapere con quello degli altri; viviamo in un’epoca in cui è sempre più importante la figura del team di esperti contro il vecchio scienziato alla Einstein, che da solo faceva le grandi scoperte. In questa ottica la Filosofia non viene sminuita, bensì trova una nuova dignità.

Accertare la realtà è il primo passo per poterla cambiare. Per questo è doveroso difenderla. Ecco perché sono necessari i debunker.

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