Il Metodo Apollo

di Juanne Pili.

L’aspetto che rende maggiormente affascinante il programma spaziale Apollo non è la natura stessa dell’impresa, quanto il metodo che l’ha resa possibile.

metodo apollo

Un metodo scientifico, certamente, che non necessariamente si applica solo a missioni spaziali. L’urgenza di raggiungere il risultato, combinata alla preoccupazione di non lasciare troppi morti in giro, per qualcosa che senza un deciso consenso popolare sarebbe stato accantonato rapidamente senza tanti pensieri, condizionò la NASA a dividere per programmi a difficoltà crescente l’esplorazione spaziale; questo malgrado i Sovietici segnassero ogni giorno punti a loro favore nella corsa verso lo spazio. Ufficialmente tutto il mondo doveva considerare questa faccenda come un tifoso alla De Coubertin prenderebbe una finale di coppa del mondo, ma si sa, quel genere di persone forse esistevano solo nella sua testa. In realtà c’era una Guerra Fredda in corso, con buona pace del fair play.

«I russi che possono gironzolare in orbita sulle nostre teste? Col cavolo!». Dall’altra parte i sentimenti dovevano essere gli stessi.

Effettivamente prima del programma Apollo vanno ricordati quelli Mercury (destinati a studiare l’effettiva possibilità di mandare persone e cose nello spazio, malgrado le forti accelerazioni e l’assenza di gravità) e Geminy (dove vennero compiuti i primi EVA – l’uscita degli astronauti dal modulo di comando, per sperimentare le funzionalità delle tute spaziali e la possibilità di compiere dei lavori nelle condizioni fisiche offerte dal vuoto cosmico) con Apollo finalmente si poterono puntare i timoni verso il nostro satellite.

Non si andò subito sulla Luna, perché come in una matriosca anche i programmi si dividono in tappe a livello crescente, che a loro volta usano mezzi di trasporto divisi in stadi. Cinque in tutto. La NASA non li sperimentò in una volta sola, vennero studiati separatamente, riempiendo gli altri di acqua per simularne il peso; il quinto e quarto stadio avrebbero portato il razzo in orbita; nel terzo stadio ci sarebbe stato il Modulo Lunare (LM) mezzo che gli astronauti avrebbero usato per gli allunaggi; il secondo e primo stadio avrebbero fatto in orbita una rotazione di 180° per eseguire il rendez vous col LM, attraverso una procedura tra le più difficili e fondamentali, che permette oggi di assemblare con viaggi separati delle strutture complesse in orbita, per es. la Stazione Spaziale Internazionale. Anche l’andata e ritorno degli astronauti nella ISS è possibile grazie alle docking port e alla capacità degli astronauti di “centrare il buco” – No, non è per questo che inizialmente gli astronauti erano tutti maschi.

stadi apollo

Una volta effettuato il rendez vous gli astronauti sono pronti per viaggiare nello spazio profondo fino a destinazione. Dopo il disastro dell’Apollo 1 (dove il modulo di comando prese fuoco, con l’equipaggio a bordo, di fronte all’impotenza generale) seguirono cinque missioni senza equipaggio; fu l’Apollo 7 ad eseguire il primo rendez vous del programma in orbita – e basta – non doveva fare altro. Con l’Apollo 8 viene effettuata la prima missione umana nello spazio profondo. Dopo altre due missioni intermedie, dove gli astronauti possono vedere ma non toccare il nostro satellite, finalmente l’Apollo 11 effettua il primo allunaggio. Le difficoltà erano ancora tante – ma quante vennero lasciate alle spalle grazie alle missioni precedenti? – Il computer di bordo era meno potente di un Commodor 64 e fece i capricci proprio nei momenti meno opportuni, con colpi di scena degni di un thriller. Eppure, per tracciare una rotta, oggi lo sappiamo bene, non c’è bisogno delle capacità di calcolo di un computer da gamer. Con buona pace di chi sostiene che non esistevano tecnologie sufficienti, dimenticando che nel ’45 venne sganciata la prima bomba atomica (sempre in un periodo di corsa tecnologica, motivata dal pericolo che Nazisti e Sovietici arrivassero primi – ovviamente le conseguenze in ballo erano ben più serie) e non molti anni dopo le missioni Apollo venne inventata Internet.

Tutti conoscono la frase che Neil Armstrong pronunciò quando mise piede sulla Luna, («un piccolo passo per l’Uomo», ecc.) pochi quella del suo omologo, Pete Conrad, dell’Apollo 12: «Wooppie!». Già con questa missione il LM diventa molto più sicuro di quello pilotato da Armstrong – praticamente della discesa non dovettero proprio preoccuparsene; quasi come fossero dentro un ascensore spaziale, se mi perdonate il paragone. Dopo l’insuccesso di Apollo 13, che se non altro riuscì a tornare sano e salvo, seguirono altre quattro missioni, tutte riuscite; con l’Apollo 17 il programma venne chiuso, a quanto pare, prematuramente.

Il metodo Apollo non funziona solo per i viaggi spaziali. Fissare un obiettivo e dividerlo in sotto-obiettivi, divisi a loro volta in compiti differenti può essere d’aiuto anche in altri ambiti: Lo studio, il lavoro, persino la politica: Voi diventare Presidente del Consiglio? OK, intanto vediamo se riesci a farti eleggere Amministratore del tuo Condominio. Un passo alla volta. Un obiettivo che ci sembra insormontabile, se diviso in compiti a difficoltà crescenti comincia già a sembrare plausibile, superare i vari livelli, inoltre, arricchisce la nostra autostima e le competenze sufficienti ad affrontare quello successivo.

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Il mio primo allunaggio, con KSP, dopo un mese di tentativi. «Un piccolo passo per un sardo, un balzo gigantesco per la nerdità».

Ricorda molto la struttura dei video giochi – ed è per questo che forse dovremmo stare attenti a non esagerare nel criticarli. A proposito, suggeriamo di provare Kerbal Space Program, un PC Game, abbastanza leggero, acquistabile anche su Steam, ch’è un vero e proprio simulatore di viaggi spaziali. L’astronomo Scott Manley, dell’Osservatorio di Armagh è riuscito a farci giocare persino un vero astronauta. Oltre a riprodurre abbastanza fedelmente le forze fisiche in gioco – deadly reentry del modulo di comando in atmosfera incluso – permette di capire in maniera efficace cosa significa viaggiare nello spazio. Sorprendentemente gran parte del problema non è costituito dal propellente, quello si sente soprattutto alla partenza, perché bisogna vincere la gravità del nostro pianeta, che diventa subito una grande amica una volta in orbita; per il resto del viaggio i razzi verranno accessi per effettuare le manovre, sarà l’inerzia di moto a fare tutto il resto. Non si tratta di viaggi lineari, si devono seguire delle orbite, questo permette di ridurre il consumo di carburante, inoltre possiamo usare gli altri pianeti come vere e proprie fionde gravitazionali, è così che ha viaggiato New Horizon, per esempio, spinta da Giove fino a Plutone. Il vero nemico dei viaggi spaziali è il tempo. Anche se seguire delle orbite ci fa risparmiare carburante, più si va lontano, maggiore sarà il tempo che gli astronauti dovranno passare in assenza di gravità, nell’impossibilità sempre maggiore di ricevere soccorsi efficaci in caso di imprevisti.

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Tutti problemi che ci sembrano enormi oggi, ma solo se non teniamo conto del metodo Apollo. «Faremo questo e altre cose, non perché sono facili ma perché sono difficili» (JFK). Ogni missione spaziale è una tappa intermedia nella strada verso la loro risoluzione. C’è persino qualcuno alla NASA che studia seriamente il Viaggio a Curvatura. Ma anche se il vostro obiettivo è più terra-terra, come imparare una nuova lingua, un mestiere o suonare l’ukulele, il metodo Apollo funziona ugualmente.

Questo non significa che se diventate amministratori di condominio sarete il prossimo Presidente del Consiglio. Non garantiamo alcun rimborso.

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