Grecia – Contro la Nuova Aristocrazia Europea

di Andrìa Pili.

Nessun governo democratico è stato così tanto disprezzato dalla classe dirigente europea come quello di Tsipras, in Grecia.

merkel tsipras

Al suo indirizzo, in questi mesi di trattative, sono piovute accuse di irresponsabilità, infantilismo, dilettantismo ed il suo capo è stato accusato pure di essere un bugiardo. Allo stesso modo, la scelta di sottoporre ad un referendum popolare le proposte dei creditori istituzionali (FMIBCEEurogruppo) è stata deplorata esplicitamente da diversi leader politici europei del duopolio liberale – Merkel e Gabriel, Renzi, Hollande e Sarkozy, Rajoy – così come dai principali organi di stampa, volti a condizionare la scelta referendaria con l’intimidazione.

Anche da ciò si può comprendere come il terreno di scontro di questi mesi sia stato innanzitutto politico. L’intransigenza della troika – con il rifiuto di una ristrutturazione del debito precedente all’applicazione di riforme concordate, l’elaborazione di una sorta di ultimatum per spingere il governo greco all’applicazione di misure inaccettabili come: il raddoppio dell’IVA per Hotel e ristorazione; il taglio dei sussidi agli agricoltori; 100% di anticipo indiscriminato sulla tassa riguardante le imprese; eliminazione dei contributi per le pensioni più basse – è stata analoga ad un tentativo di spodestare il governo legittimo, perché estraneo alla classe politica ed al pensiero che hanno dominato l’Occidente negli ultimi venti anni. Se negli anni scorsi – quando il debito greco era in prevalenza in mano a creditori privati – il problema era quello di evitare un contagio economico; oggi, con 4/5 del debito posseduti dalle tre istituzioni, il problema che si pone la classe dirigente è quello di evitare un contagio politico. Si è quindi cercato di denigrare Tsipras in due modi possibili: spingere la Grecia verso il default o costringere lo stesso a tradire le sue promesse elettorali. In entrambi i casi, avrebbe dato modo alla nuova aristocrazia di gettare discredito su forze politiche analoghe a Syriza, che osano mettere in discussione il proprio diritto a governare sui popoli in nome di una supposta “competenza” ricevuta in dono con il sacro verbo neoliberale.

Il primo ministro ellenico non è un rivoluzionario. La sua mossa è stata giustificata come il tentativo di ripresentarsi al tavolo delle trattative con un potere contrattuale più forte. La vittoria del NO con oltre il 60% dei voti, però, è stata carica di altri significati. Il rifiuto pronunciato dalle urne è stato un atto patriottico – non è un caso che le bandiere della Grecia hanno avuto più risalto rispetto a quelle di partito, durante i festeggiamenti – di un popolo che è stato additato come nullafacente e mantenuto, causa dei propri stessi mali, nonostante abbia subito gli effetti di una classe politica realmente irresponsabile (il duopolio ND-PASOK che truccò i conti pubblici con l’aiuto di grandi banche d’affari come Goldman Sachs al fine di entrare nell’euro) e di misure di austerità rivelatesi benefiche quanto gli intrugli di uno sciamano. Inoltre, si è trattato di un messaggio lanciato ai popoli europei che hanno subito controriforme – in particolare sul lavoro – giustificate dalla necessità di “far ripartire l’economia”, dietro la falsa immagine di un’Europa unita e la spinta del labile matrimonio d’interesse tra l’egemonia tedesca e le borghesie degli altri paesi.

Si è dimostrato, insomma, che i popoli hanno ancora un ruolo: il potere non è la prerogativa inalienabile di un’aristocrazia illuminata. L’Europa l’aveva già capito con la Rivoluzione Francese; dopo questi ultimi anni di smarrimento, in cui si è pensato che il compito della politica fosse di compiacere gli operatori nei mercati, possiamo ringraziare i greci per avercelo ricordato. Da questa rinnovata consapevolezza è necessario che – in tutta l’area dell’Unione – si costruisca un’alternativa progressista contro il duopolio liberale e gli sciovinismi: così, dalla crisi del polo capitalista europeo potrà sorgere un’Europa democratica.

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