Foreign Fighters – Tra Disagio Sociale e Postmodernità

di Andrìa Pili.

Il direttore del National Counterterrorism Center, Nicholas Rasmussen, in un’audizione alla Camera dei Rappresentanti, ha affermato che 20000 foreign fighters – da 90 paesi – si troverebbero in Siria a combattere per lo Stato Islamico.

Munich_Eye_05_15_49_00Tra questi ci sarebbero ben 3400 occidentali (150 dagli Stati Uniti). L’ International Center for the Study of Radicalization and Violence in Politics ci ha rivelato come i foreign fighters europei sono suddivisi tra i vari paesi: circa un terzo (1200) viene dalla Francia; circa 500-600 sono cittadini britannici; altri 500-600 tedeschi; il Belgio (300-440) è il paese con il più alto numero di combattenti jihadisti europei pro capite; 200-250 dall’Olanda; 150-180 dalla Svezia; 100-150 dall’Austria; 100-150 dalla Danimarca; 50-100 dalla Spagna; 80 dall’Italia (secondo il Ministero dell’Interno sarebbero 56); 50-70 dalla Finlandia; 60 dalla Norvegia; infine anche 40 cittadini svizzeri e 30 irlandesi.

La consistenza della fratellanza internazionale jihadista, con l’ISIS, avrebbe quindi raggiunto il suo picco storico, dalla lotta antisovietica in Afghanistan in avanti. La questione dei jihadisti cittadini europei, convertiti o figli di immigrati, pone diversi interrogativi ed opportunità di riflessione riguardo il livello della convivenza tra diverse culture, tra cittadini di diversa origine, quanto a proposito della capacità di attrazione che l’integralismo islamico ha esercitato su alcuni ragazzi occidentali.

Le comunità islamiche in Europa

Le condizioni di vita delle comunità islamiche europee possono aiutarci a comprendere sia come mai alcuni cittadini europei di questa fede religiosa si siano convinti ad intraprendere una lotta contro l’Occidente, sia qual è il bacino d’utenza cui si rivolge la propaganda dell’ISIS.

islam-christianityRapporti come quello di Amnesty International – “Choice and Prejudice”, 2012 – ci offrono uno spaccato della situazione in diversi stati succitati. Nel paese europeo che ha dato il maggior contributo al Califfato, la Francia, gli islamici sono discriminati: nell’educazione, nel lavoro privato, nell’accesso a pubblici servizi. Tutte le discriminazioni subite hanno a che fare con l’esibizione di segni religiosi (il velo per le donne – il 57% dei 259 casi di discriminazione reclamati dall’Alta autorità contro la discriminazione nel 2009 – o il turbante per i sikh) o la dieta alimentare conforme al Corano. Il 10% degli atti di islamofobia denunciati dal CCIF nel 2010 riguardano il mondo del lavoro. Uno studio sulle discriminazioni dei musulmani francesi, ad opera di Claire Adida, David Laitin, Marie Ann Valfort, ha dimostrato come un candidato di origini nordafricane cristiano abbia maggiori possibilità di essere assunto, rispetto ad un candidato dalle medesime origini ma islamico. La disoccupazione tra i figli di marocchini e algerini è due volte superiore a quella dei francesi.

In Belgio le discriminazioni sul lavoro contro i musulmani sono più diffuse che negli altri campi: nel 2010 le discriminazioni a sfondo religioso registrate dal Centro belga per le Pari Opportunità ha riguardato gli islamici per l’84%. Le vittime sono state colpite per via delle proprie necessità religiose e del loro abbigliamento. Inoltre, la disoccupazione tra cittadini di origine turca e marocchina è 5 volte superiore alla media belga.

In Olanda, nel 2010, sono stati denunciati 401 casi di discriminazione anti-islamica (il 6.6% del totale). La disoccupazione tra marocchini e turchi è due volte superiore alla media olandese.

islamofobiaUna ricerca dell’Università di Bristol ha rivelato come la comunità musulmana sia, nel Regno Unito, la più discriminata nella ricerca di un impiego, con gli uomini che hanno il 76% e le donne il 65% di possibilità in meno di essere assunti rispetto ad un britannico bianco e cristiano. Una sola città britannica, Portsmouth, ha dato allo Stato Islamico ben 6 cittadini, provenienti dalla locale comunità del Bangladesh, di cui 4 caduti. Nella stessa città, più della metà delle famiglie di origine bengalese vive in condizioni di povertà.

In Germania, dove è iniziato a crescere un movimento islamofobo piuttosto preoccupante, la media di disoccupati tra i turchi nati in Germania è due volte superiore alla media dei tedeschi; oltre a ciò, 1/5 dei turchi ritiene di aver subito una discriminazione sul lavoro.

In Francia, Germania, Regno Unito – i primi tre Stati europei per foreign fighters – si riscontrano forti disparità nell’accesso alla casa ed ai livelli più alti di istruzione tra i nativi ed i cittadini islamici, figli di immigrati.

Jihadisti europei e Postmodernità

Chiaramente non si può ricondurre tutto alle ragioni sociali ed economiche. In questo caso, possiamo aiutarci attraverso un’analisi “micro” del fenomeno, utilizzando i recenti studi sui foreign fighters francesi ed italiani, compiuti dal “Centro di Prevenzione contro le derive settarie legate all’Islam” dell’antropologa Dounia Bouzar e dall’esperto di terrorismo islamico Lorenzo Vidino.

hqdefaultEmergono due caratteristiche particolari: la grande maggioranza di questi combattenti per l’ISIS ha meno di 30 anni (63% dei francesi ha 15-21 anni, gli italiani oscillano tra i 16 ed i 30) ed è composta da monadi, individui scarsamente inseriti nelle comunità – quelle islamiche comprese – e problematici (il 40% dei militanti francesi per il califfato avrebbe conosciuto la depressione). L’analisi gaulois, inoltre, afferma che il 67% dei guerriglieri stranieri proviene dalla classe media, il 17% dalle classe popolari ed il 16% da categorie professionali alte. Questo dato ci conferma l’importanza della questione individuale. In questo senso, emerge come questi volontari rappresentino il caso diametralmente opposto ad altri celebri foreign fighters della storia: le brigate internazionali in difesa della Repubblica Spagnola. Tanto questi ultimi erano inseriti all’interno di forti organizzazioni politiche di massa, quanto quelli sono solitari: il 91% dei jihadisti francesi è stato formato e reclutato- autoarruolato- attraverso internet.

Questi ragazzi, cresciuti nell’Occidente neoliberale, tra la palude del pensiero debole, postmoderno e del realismo reazionario – entrambi gettanti discredito sul pensiero forte emancipativo – hanno trovato nel pensiero forte della religione- il salafismo, propugnante il ritorno al puro messaggio coranico – il solo sbocco al proprio disagio e nel Califfato di Al Baghdadi un luogo di riscatto per la propria condizione. Sono approdati ad una finta sicurezza contro il nichilismo passivo della società di mercato.

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Sia guardando alla situazione delle comunità islamiche europee (discriminate nell’accesso all’istruzione ed al lavoro) che al profilo dei singoli jihadisti notiamo come la questione principale sia quella dell’isolamento. Individui e gruppi ai margini della società. Sino ad ora, la percezione è che i governi europei abbiano scelto di affrontare la minaccia terroristica soltanto attraverso la valvola della “sicurezza” e non tramite l’integrazione sociale, cioè interventi che vadano a ridurre la oggettiva condizione di diseguaglianza in cui vivono i cittadini di fede musulmana, e che li espone ai messaggi di una lotta contro l’Occidente.

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