Armstrong – Nostress Netlabel

di Enrico Bulleri.

Armstrong, il nuovo disco in digital download (e cento copie in cd imbustati e numerati dalla bella grafica e presentazione) di Massimo Ruberti è un concept album di musica elettronica e tematica di ispirazione spaziale.

armstrong

Trasporta l’ascoltatore in un transfert epico, il quale echeggia quelli dei viaggi spaziali e che conferma il giovane compositore livornese come uno dei piu’ interessanti creatori di atmosfere eteree, e da un lato profondamente continuatrici della musica elettronica tedesca nata con la cosìddetta “Berlin School”, oltre che richiamanti in maniera disinvolta e autonoma alcune sonorità della colonna sonora memorabile di Hans Zimmer per “Interstellar” – e non so se mi spiego – declinate attraverso le atmosfere rarefatte e sognanti così eccellentemente restituite già in un precedente lavoro di Ruberti, “The City Without Sun”. La musica di Massimo Ruberti si distingue per il suo approccio intimamente emozionante, quasi da colonna sonora nel quale ogni brano è la continuazione e la compenetrazione del precedente, anche se uno può essere più delicato e l’altro maggiormente ritmico. Riuscendo a raggiungere vette altisonanti di malinconia ed elegia della dimensione umana senza mai peccare minimamente in pomposità, o in quei contrasti atti ad attirare le attenzioni degli ascoltatori, dalle interpretazioni musicali anche minimal e ambient in taluni passaggi, ma molto più spesso semplicemente insolite ed espressione di una personalità e uno stile musicali già non comuni, quale sono quelle di Ruberti, tra i brani di questo nuovo album c’è un pezzo iniziale veramente magistrale, “Liftoff” di oltre otto minuti, che è veramente grandioso ed è molto importante per l’intero disco di sei tracce in quanto colpisce l’ascoltatore facendo sognare e ricordare quelle emozioni che sono peculiari, o almeno dovrebbero sempre esserlo, di questo tipo di musica, riuscendo a toccare i tasti più meravigliosi anche ad un primo, e magari pure distratto, ascolto.

Con i brani successivi a partire da “Burn” di 4:24, Ruberti riesce a eguagliare se non a bissare l’epica intensità di questa lunga e ipnotica apertura, evocando sempre una linea musicale primordiale e tecnologica al contempo, coerente nella sua narrazione e capace di restituirci oltre che di plasmare, le nostre emozioni maggiormente legate magari a momenti intimi, di esperienze ed emozioni vissute magari con un padre che non c’è più, come fosse nel ricordo di un viaggio che lo ha portato troppo lontano e dal quale non tornerà più, appunto un astronauta che si è allontanato dalla terra- ritornando così ad “Interstellar” – e descrivendo musicalmente in maniera epica e profonda queste emozioni, e questi momenti lontani. Si può anche dire che dopo i lavori di qualità degli ultimi anni Ruberti sa farsi riconoscere per le sue tematiche sonore ma non si ripete nelle espressioni musicali, inventandosi sonorità anche del tutto nuove, che si avvicinano come detto persino ad una narrazione da colonna sonora, quasi d’avventurosa conquista spaziale, allargando così le vedute rispetto alle composizioni precedenti con una ricchezza di suoni forse superiore, mantenendosi fedele ad una curiosità d’intenti complessa e creativa protesa ad ottenere un risultato nuovo, diverso e sempre originale.

Quasi una vera e propria spina dorsale dell’album sono le voci di quelle che paiono essere le comunicazioni radio vere e originali dei centri di controllo NASA sulla Terra come Cape Canaveral, con le voci degli astronauti nelle missioni Apollo, innestate, innervate dalla robustezza di note che fanno quasi sentire come il respiro dell’astronauta nel suo casco, all’apice dell’ansia e dell’adrenalina, l’elemento umano dunque nel suo massimo impeto in un ambiente ostile e senza ossigeno quale lo spazio, in passaggi musicali esaltanti che ricordano un altro soffio, quello atto a produrre i suoni esaltanti di un organo. “Armstrong” è in definitiva un album coinvolgente, trascinante e di talento che almeno in parte, potrebbe provenire da un’epoca armoniosa in cui gli strumenti producono ancora sonorità analogiche e meccaniche, e non solamente attraverso fonti digitali, esecuzioni di suoni secolarmente terreni i quali ben si plasmano nel loro massimo contrasto, con l’ ascensionalità ansiogena dell’uomo cosmonauta che in un lungo viaggio verso pianeti e stelle lontani cerca – magari dentro di se – di preservare questa sua origine, nell’immenso e solitario oceano degli astri celesti.

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