Agente 373 – Police Connection

di Enrico Bulleri.

«Una pistola nel calzino, una carabina a canne mozze nella cintura, e senza distintivo. La storia di Eddie. Il miglior ex poliziotto in circolazione» – Frase di lancio di Agente 373.

badge-373-movie-poster-1973-1020232673Se non è sempre ovvio trovare un film intelligente e riflessivo sul crimine, è ancora più strano trovarne ben due contemporanemente. Dato che Agente 373 – Police Connection (Badge 373, titolo italiano evidentemente nel tentativo di ricollegarsi al successo enorme di The French Connection (Il Braccio violento della legge) basato come il capolavoro friedkiniano sulle avventure e le memorie del celebre detective dell’NYPD Eddie Egan (che nel capostipite di Friedkin impersonava sè stesso), uscì nei cinema americani contemporaneamente allo splendido Gli Amici di Eddie Coyle (The Friends of Eddie Coyle) di Peter Yates, con Robert Mitchum, uno dei cinque film che Mitchum considerava come quelli di cui poter andare maggiormente fiero, nella sua lunghissima e inimitabile, carriera. Come quello di Yates, “Badge 373” è un film certo non poco problematico, contenente alcune cose molto interessanti da dire su poliziotti e ladri, moralità. Si basa sulle avventure di Egan, e non con meno aderenza con la quale vennero ricostruite nel famoso modello friedkiniano. I fatti sono messi di fronte allo spettatore fin dall’inizio del film, facendo sì che Duvall risulti molto credibile nella ricerca dell’assassino del suo ex-collega quando erano in servizio assieme. Certo, per esigenze spettacolari si può ben nutrire qualche dubbio che il loro scontro finale sia avvenuto a centinaia di metri d’altezza su una gru del Brooklyn Navy Yard, e che il killer avesse una mitragliatrice, così come per i diversi punti un pò esagerati che connotano l’organizzazione paramilitare e rivoluzionaria, dei portoricani.

Ma queste sono le parti in cui più è evidente il contributo dello sceneggiatore e giornalista Pete Hamill, che ha scritto il film, basandosi sempre però sui racconti di Eddie Egan, fatti funzionare sullo schermo da Howard W. Koch che lo ha prodotto e diretto. Ma posso credere che il personaggio (interpretato come detto da un sempre bravissimo Robert Duvall) proviene per ogni concetto dallo stesso Eddie Egan, poichè così come era già apparso in “The French Connection”, Egan è anche co-protagonista del film, nei panni del superiore di Ryan/Duvall. Il personaggio impersonato da Duvall non è un poliziotto esente da vizi,un uomo sostanzialmente solo a cui pure uccideranno anche la compagna (Verna Bloom), ma che rimane ossessionato e guarda soprattutto all’obbiettivo della sua caccia, l’assassino o gli assassini del suo ex-collega, senza curarsi molto di tutti quelli li sono attorno e tantomeno di chi potrebbe ostacolarlo nella suia missione, quasi monocomplusiva e perseguita con grande tenacia, altro tratto comune e distintivo con quello del poliziotto dalla granitica volontà e tenacia interpretato grandiosamente da Hackman, Jimmy “Popeye” Doyle, nella su citata pietra miliare di Friedkin: anche l’Eddie Ryan di Duvall è un tipo robusto ma veloce, dal saggio, ma duro volto da irlandese. Veloce quando occore persino sui suoi piedi anche se un più che incipiente buzzo non lo lascerebbe pensare, e probabilmente un quasi ubriacone quando l’occasione lo richiede. Direi che anche come struttura fisica assomiglia allo stesso Egan. Duvall interpreta Egan e Egan interpreta il collega ma anche migliore amico di Egan, che deve avere ingenerato un pò di confusione riguardo alle posizioni assunte dai personaggi nel copione, ma funziona bene nel film. La storia coinvolge come detto il vero e proprio “voto” di Eddie per vendicare l’assassino del suo migliore amico e socio, e la traccia seguita per arrivare ai suoi assassini in qualche modo porta ad un complotto per spedire 3 milioni dollari di valore in fucili mitragliatori a Puerto Rico per iniziare una rivoluzione di tipo socialista. Eddie in un modo o l’altro nemmeno si cura della rivoluzione, ma vuole l’uomo che ha venduto le armi e ucciso il partner per tenersi tranquillo. Forse il partner di Eddie prendeva la sua parte, o forse no, a Eddie questo non importa più.

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Koch ha catturato una bella rappresentazione della New York dei primi anni settanta, ha girato per lo più in movimento e nelle vere, sporche strade con un tocco di realismo da “cine-veritè” urbana che era allora abbastanza una novità, prima che lo realizzasse Friedkin nel celebre modello. Anche qui c’è infatti una lunga, molto ben realizzata e anche lunga, scena di inseguimento, che è obbligatoria, credo, proprio nel solco stilistico di The French Connection, e di Squadra speciale (The Seven-Ups, 1973) di Philip D’Antoni, un produttore che avendo avuto un enorme successo con Bullitt (1968), il quale conteneva il primo di questi grandiosi, seminali esempi di entusiasmanti, coreografici ma anche realistici, tesi, rabbiosi inseguimenti automobilistici, avrebbe fatto sì che queste così perfezionate sequenze di azione dinamicissima, fossero sempre presenti nei polizieschi americani che avessero a che fare con le imprese da poliziotto di Eddie Egan, assieme al fido partner Sonny Grosso (nel film di Friedkin in pratica impersonato da Roy Scheider, ma in un piccolo ruolo è presente lo stesso Grosso nei panni di sè stesso). Questa volta l’inseguimento coinvolge un autobus cittadino nel pieno delle strade notturne di Brooklyn, un pick up e tre auto. Eddie deve impadronirsi del bus e dei suoi passeggeri per fuggire da una banda di teppisti portoricani collegati al movimento rivoluzionario, che scopertolo essere un poliziotto, seppur sotto sospensione, vorrebbero fargli la pelle.

La tesa caccia che segue sulla carta potrebbe sembrare incredibile, ma essa funziona primariamente a causa della recitazione di Duvall. Sembra un uomo che sta in realtà cercando solamente di fuggire, in un autobus dirottato. Ha anche un po’ di problemi con la leva del cambio, chi non li avrebbe? Tanto che la sequenza è così riuscita che Walter Hill e Schwarzenegger se ne ricorderanno quindici anni dopo per il demolitorio inseguimento finale fra pullman in Danko (1988) La prova di Duvall, nel complesso, è molto bella e al livello di tutte le sue interpretazioni di quel periodo (basti ricordare che tre anni prima e l’anno seguente questo film, sarebbe stato anche Tom Hagen, ne Il Padrino, e Il Padrino parte II): Rende con grande partecipazione un uomo duro di poche parole che ha la capacità di una totale, rabbiosa violenza dentro di sè, per reagire ad una spirale nella quale è stato trascinato, tirato dentro.

Egli sarebbe un tipo tranquillo, ma se il film ha mai un difetto, è che parla troppo. I personaggi loquaci sono un pò un’altra caratteristica ma in questo caso delle sceneggiature di Hamill, come per il precedente Doc (1971) di Frank Perry con Stacy Keach, Harris Yulin, Faye Dunaway, che fu un bellissimo e adesso un pò dimenticato western crepuscolare su Doc Holliday e Wyatt Earp. Hamill ha un buon senso per raccontare qualunque storia, ma allora non era ancora del tutto pronto a fidarsi abbastanza delle sue immagini, la scena finale è un pò viziata da questi dialoghi ridondanti, per il lungo monologo di Henry Darrow, il trafficante d’armi portoricano, al solito bravissimo. Quando ci vengono svelati i suoi sentimenti d’appartenenza nell’essere portoricano, il suo monologo poteva essere messo in un’altra tranquilla, -fino ad un certo punto-, scena di dialogo tra lui e Ryan che si svolge a metà film, nel suo sontuoso “covo”, invece di tenerlo per il teso scontro d’azione finale.

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Il personaggio di Eddie Ryan è vagamente basato sulla vita reale del poliziotto di New York Eddie Egan, che era il detective sul quale era stato basato “The French Connection. Egli è stato romanzato come Popeye Doyle e interpretato da Gene Hackman nel film basato sul libro di Robin Moore nel quale si racconta in dettaglio del suo caso più celebre, “Il Braccio violento della legge”(1971).

“373” è stato il numero del distintivo di Eddie Egan quando era detective del NYPD. Debutto cinematografico di Luis Avalos.

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