Creed – Inaspettato plauso nelle sale americane

Creed è dunque uscito, e come la familiarissima fanfara composta dal grande Bill Conti punteggiava in “Rocky” l’inizio dei momenti epici, il pubblico scoppia in uno spontaneo applauso.

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Avendo assistito ad un’anteprima non sorniona di critici cinici e paludati, un cinico potrebbe dire che il tifo è stato un riflesso pavloviano, fin da quando partì un applauso spontaneo che è esattamente quel che dovrebbe succedere quando il cinema d’intrattenimento commerciale è veramente efficace nei suoi affondi spettacolari ed emotivi, se realizzati con la professionalita’ da mani competenti, che è propria di buon regista come il giovane Ryan Coogler. Dunque, ll cinico pensiero dell’inizio si è ben presto totalmente dissolto, soffocato dagli applausi che erano andati a determinare il successo, la riuscita di questo nuovo film della saga di Rocky. Nel 2015, sia per coincidenza, che per i misteriosi movimenti del marketing, un gruppo di franchising semi dormienti son tornati a ruggire nella cultura pop dei giorni contemporanei, iscrivendo legioni di nuovi fan a questi franchise, trascendendoli e sfruttando la nostalgia delle generazioni di fan veterani. C’è gia’ stato “Mad Max: Fury Road” e poi “Jurassic World”, l’appena uscito “Star Wars: Il Risveglio della forza”, tutti usciti negli ultimi mesi. Nel frattempo abbiamo anche Creed, che suggella un altro capitolo, nella saga di Rocky Balboa, e che è qualcosa che i devoti dello Stallone Italiano non hanno piu’ avuto modo di vedere da un periodo di tempo veramente molto lungo, forse addirittura da quando uscì l’originale “Rocky” del 1976: innanzitutto un incontro di boxe formidabile quanto il film. ‘Rocky’ e Creed: un confronto critico Uno sguardo a cio’ che i critici avevano da dire al momento del’uscita di “Rocky” (1976), oltre che per il nuovo “Creed”, l’ultimo ingresso nel frachise della saga. E molto altro ancora.
I sei film di “Rocky” prima di Creed, per dirla gentilmente, hanno avuto i loro alti e bassi. Dalle umili origini (e da un clamoroso Oscar per Miglior Film battendo “Tutti gli uomini del presidente”, “Quinto potere”, e “Taxi Driver” la serie è cresciuta nel corso degli anni ottanta ad altezze di grandiosità e di assurdità prima di inciampare in una sorta di irrilevanza. Ma non chiameremo “Creed” un ritorno. Dopo la follia di “Rocky Balboa”, l’ex campione è fuori dal ring per il suo bene. Ha assunto il ruolo, fondamentale per il genere, del burbero, allenatore dai capelli imbiancati. E Sylvester Stallone, restando felice di rubare una scena di tanto in tanto, cede la ribalta a Michael B. Jordan. Jordan impersona un peso massimo leggero di talento le cui rapida ascesa in questo sport è alimentata da una crisi di identità. Anche il suo stesso nome è in questione. Il figlio amato di Apollo Creed, ex nemesi di Rocky e poi eventuale migliore amico, Adonis Creed, è incerto se abbracciare o disdegnare l’eredità di un padre che non ha mai conosciuto. Si fa chiamare Adonis (o, talvolta, Donnie) Johnson, e il suo background è un groviglio complicato di privazioni e di privilegi. E’ cresciuto in case famiglia e centri di detenzione minorili, prima di essere adottato dalla vedova di Apollo, Mary Anne (PhyliciaRashad), che lo ha cresciuto a Los Angeles nell’opulenza e lo ha tenuto lontano dal ring. Ma naturalmente non puo’ tenere per sempre fuori dalla lotta il ragazzo. Anche se Adonis si è gia’ imbattuto in una serie di combattimenti semi-clandestini in Messico, si è anche allontanato dalla ex palestra del padre. Nessuno a Los Angeles andrà contro la volontà di Mary Anne, consentendo al figlio adottivo di partecipare a questo sport che gia’ ha ucciso il marito. Che altro può fare Adonis? Viaggiare a Philadelphia, dove Rocky (Stallone, come se fosse necessario dirlo) continua nella gestione del suo ristorante mantenendo un basso profilo. E’ pur sempre un tutt’uno con la boxe, e Adonis lo convince a dargli un’altra chance.
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Iniziano insieme la preparazione, e dopo non molto si materializza una chance di combattere per il titolo. Ovvero un incontro con il rissoso campione britannico di nome Ricky Conlan (Tony Bellew). Come Rocky stesso 40 anni prima, Adonis è il designato sfidante sparring-partner contro un avversario troppo superiore. Naturalmente, non potrà mancare anche qui una visita di Rocky in compagnia di Adonis al Philadelphia Public Museum of Arts, e come Rocky, anche Adonis si innamorerà di una bella ragazza di Philadelphia, ma questa volta di colore. Una musicista di nome Bianca (Tessa Thompson), che lo introdurrà anche nella cucina e nello slang locali. E come Rocky, Adonis si innamora di una bella di Philadelphia, un musicista di nome Bianca (Tessa Thompson), che lui scuole della cucina e lo slang locali. Bianca lo prende in giro per il fatto di avere uno zio bianco (il soprannome che Adonis utilizza per Rocky è di chiamarlo zio) e si arrabbia quando scopre che Adonis ha nascosto la verità sul suo pedigree. Un film di boxe senza cliché è come una campagna politica senza bugie. “Creed”, diretto da Ryan Coogler da una sceneggiatura scritta dallo stesso con Aaron Covington, è consapevole di sé, senza ipocrisie nè carinerie All’interno della stessa trama del film, come nel mondo esterno ad esso, Rocky è parte del tessuto culturale. Tutti a Philadelphia lo conoscono. C’è anche una statua che lo ritrae! Ma O.J. Coogler, regista di 29 anni, il cui debutto è stato “Ultima Fermata: Fruitvale Station” (interpretato anch’esso da Michael B.Jordan), guarda alla storia di Rocky e alla tradizione del pugilatoa Hollywood attraverso una nuova lente. “Rocky” è stata la storia di una grande speranza bianca, e anche una favola per un’epoca di reazioni e tensioni razziali. Apollo Creed, interpretato da Carl Weathers, è stato in quel film l’alfiere della pesante riscossa nera, e Rocky era il nobile ma perdente bianco. Solamente più tardi, avrebbero messo da parte le loro differenze di fronte un nemico comune come l’Ivan Drago sovietico, quando la serie ha ha rivolto la sua attenzione alla geopolitica della guerra fredda. Da allora, Apollo divenne il compagno e l’amico sacrificale, un’ingiustiziaa cui “Creed”, per la sua stessa ammissione fin dal titolo, cerca di porre rimedio. Il film è anche una rarità di Hollywood: un film di boxe con un eroe nero. Ed è bizzarro – anche se non sorprende – che uno sport dominato per decenni da atleti afro-americani e latini nelle rappresentazioni su grande schermo sia assomigliato di più all’hockey su ghiaccio “Creed”, come “Ultima fermata: Fruitvale Station,” inserisce la sua drammaticità nella rappresentazione dei pericoli e dei piaceri della vita dei neri in America. Adonis è un personaggio complesso, con un destino complesso. Egli è allo stesso tempo un ragazzo ricco e un ragazzo di strada, l’orgoglioso vettore di un patrimonio illustre e un uomo invisibile. Il suo rapporto con Rocky è complicato, troppo. Il ben piu’ vecchio combattente è un mentore e una figura paterna, che da e infonde sicurezza, ma ha bisogno anch’egli di qualcuno che si prenda cura di lui, soprattutto quando la malattia che lo affligge aggiunge un tocco melodrammatico alla trama. Rocky si è riconciliato con la perdita delle persone che amava – Paulie, Mickey, Creed e Adriana – se ne sono tutte andate. E’ troppo semplice dire che Adonis gli insegna di nuovo a prendersi cura di sé stesso. Una delle cose più sorprendenti di “Creed” è anche quanto sia un film dolce e alla mano, nonostante l’efficace brutalità delle scene di combattimento. Rimane sempre un piacere vedere Stallone fare suo il film con una grande interpretazione, senza piu’ nulla da dimostrare. Al suo meglio quando può lavorare comodamente all’interno dei propri limiti come attore.
I Limiti di Michael B. Jordan, al contrario, devono ancora essere scoperti. Con ogni ruolo, sembra ormai compiacersi dell’evoluzione del suo talento, trasmettendo il suo entusiasmo verso il pubblico. Il che spiega ma solamente in parte l’applauso che rischia di risuonare attraverso i multiplex il 16 gennaio all’apertura italiana di “Creed”, e a cui mi riferivo in apertura di questa recensione. “Creed” è un pezzo piacevolissimamente da New hollywood anni ’70 quindi oramai classico, di intrattenimento, realizzato in un rassicurante e incoraggiante vecchio stile, ri-aggiornato agli stilemi moderni. I momenti riusciti sono molti e volano veramente alto, la colonna sonora è molto bella e vola (hip-hop con i ri-arrangiamenti di Ludwig Göransson sui temi cari per ottoni di Bill Conti, il terreno pare dunque già pronto per “Creed II.” Vedremo come va, seppure “Creed” ha ottenuto un enorme responso commerciale negli Stati Uniti, solo in parte frenato dal sopravvenuto irrompere fragoroso di “Star Wars: Il Risveglio della Forza” e pochi giorni prima del natale, di “The Hateful Eight” di Tarantino, ma soprattutto un inaspettato e assolutamente sorprendente accoglimento della critica, pressochè eccellente, soprattutto in merito all’interpretazione di Stallone da quasi tutti i recensori più importanti della carta stampata e dell’online dato per praticamente sicuro della Nomination come Miglior Attore non Protagonista, agli Oscar. Per adesso è comunque dolce avere questa lezione sull’importanza della tecnica e della velocità di gambe, della forza bruta e dell’amore fraterno.

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